Desideriamo esprimere la nostra opinione sul tema della crisi incombente dell’euro, come già abbiamo fatto in passato per altri argomenti su queste stesse colonne. Non crediamo che i convincimenti del mercato internazionale sulle possibilità dell’Italia di rimborsare il debito pubblico «stando nell’euro» possano essere affrontati affermando che esso abbia torto.
Si hanno eguali motivi per sostenere che l’attuale spread sui tassi dei Btp rispetto ai Bund non corrisponda ai fondamentali della nostra economia, ma anche il contrario. Noi stessi, nonostante che in tempi passati abbiamo preconizzato il crollo del regime di Bretton Woods e la insostenibilità dell’architettura monetaria internazionale ed europea, così come i pericoli dei derivati, non siamo in condizione di affermare con sufficiente chiarezza dove pende la bilancia dei pro e dei contro.
Sappiamo però che così non può andare avanti e riteniamo che il Paese debba acquisire coscienza e fare le sue scelte. L’impegno del governo Monti in sede europea è senz’altro meritevole, ma non affronta forse non può per carenza di structure d’accueil politica i motivi di fondo della crisi, che ha radici nella natura imperfetta degli accordi stipulati in questa sede. L’euro-area è un’area monetaria non ottimale che presenta gli stessi difetti e ha gli stessi sbocchi dell’eterno problema Nord-Sud del nostro Paese, sul quale dovremmo essere più preparati, ma persistiamo nell’ignorarli.
In estrema sintesi, se veramente l’Unione Europea vuole respingere la speculazione deve:
(1) assegnare alla Banca Centrale Europea gli stessi compiti e attribuire gli stessi strumenti della Federal Reserve americana, anche perché l’euro deve svolgere, come ha svolto fino a poco tempo fa, un ruolo monetario e valutario internazionale stabilizzante simile a quello che svolse la convertibilità del dollaro in oro nel regime di Bretton Woods;
(2) agevolare una effettiva mobilità del lavoro intraeuropea per inseguire i capitali dove essi preferiscono indirizzarsi e
(3) attivare strumenti fiscali congiunti, assegnandone l’attuazione alla Commissione di Bruxelles, per compensare gli effetti degli shock asimmetrici che minano l’integrità dell’area monetaria.
Senza decidere queste tre cose fondamentali, la politica delle regole e dell’assistenza finanziaria con vincoli non consentirà ai Paesi in difficoltà, Italia ovviamente compresa, di uscire dalla crisi, fronteggiando la speculazione. I costi da pagare saranno crescenti e gli sbocchi occupazionali drammatici. La conseguente recrudescenza del conflitto sociale forzerà la mano ai politici di prendere decisioni in extremis. Di conseguenza, è bene che, in assenza delle tre riforme indicate, gli Italiani siano invitati a votare se stare o meno nell’euro, affinché siano responsabili del loro futuro e non siano altri, all’interno o all’estero, a decidere per loro. Lo impone il rispetto della nostra Costituzione democratica.
“Bce, lavoro, fisco:tre riforme per salvare la moneta unica”
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