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Bce, errori veniali e errori mortali

La Bce corregge al ribasso le previsioni sul Pil dell’Eurozona, la crescita è ancora rinviata. C’è da sorprendersi? Purtroppo no, per due ragioni. La prima è che negli ultimi cinque anni gli economisti della Banca centrale non ne hanno azzeccata una che sia una, di previsione. Ma questo sarebbe un errore veniale, fare previsioni è difficile e possono entrare in gioco tanti fattori inaspettati. L’errore mortale sta nella seconda ragione, ma intanto esaminiamo questa.
Un paio di settimane fa l’economista Francesco Saraceno, sul sito keynesblog.com, si è divertito a mettere in fila le previsioni della Commissione Ue a partire dal 2008. Il risultato è che sono sempre sbagliate (sottostimano regolarmente la recessione, tranne nel 2010 quando invece hanno sottostimato la crescita dell’anno successivo). In particolare, più delle altre sbagliano quelle di primavera: nel 2009 l’errore fu addirittura del 4,5%. Si dirà: è ovvio che si possa sbagliare di più quando si guarda più lontano. Giusto, ma fa un certo effetto notare che l’errore (anche se decisamente più piccolo) c’è – sempre – anche nelle previsioni di novembre, cioè quando manca solo un mese alla fine dell’anno di cui si “prevede” l’andamento.
Il presidente Mario Draghi si dev’essere reso conto che l’attendibilità delle istituzioni europee come previsori è un po’ ammaccata, e dunque ha affermato che la banca centrale “continua a vedere rischi al ribasso, legati a un’implemetazione troppo lenta delle riforme” che “argina il recupero della fiducia e dunque rallenta la ripresa”. Capito? Non siamo noi che prevediamo male, siete voi paesi europei che non fate le riforme. Certo è un po’ difficile far passare questa tesi, visto che il problema non è nuovo, tanto che ne avevamo parlato già tre anni fa.
Ma veniamo al secondo errore, quello “mortale”. Mortale nel senso di grave, ma mortale anche per l’Eurozona, purtroppo. L’errore è quello di continuare pervicacemente a sostenere che dalla crisi si esce con le cosiddette “riforme” e soprattutto rimettendo a posto i bilanci pubblici, ossia con la famosa “austerità”. Ora, “riforme” è un termine vago e dentro ci possono stare cose lodevoli, come per esempio l’eliminazione delle posizioni di rendita, l’efficienza della pubblica amministrazione (e, in particolare in Italia, della giustizia), la lotta ai monopoli e agli oligopoli, le riforme della finanza di cui sembra che a nessuno importi più nulla. Ma quando quella parola esce dalle bocche dei tecnocrati europei temiamo che il significato si riduca alla compressione delle condizioni dei lavoratori e allo smantellamento del welfare.
Ma ancora più grave è insistere sulle politiche di austerità, quando hanno dimostrato di non funzionare anche a causa di errori di valutazione sui loro effetti, che persino il Fondo monetario ha onestamente riconosciuto. Certo, non sarebbe compito della Bce dettare le politiche economiche ai governi europei. Ma visto che lo fa, e lo fa in misura enormemente maggiore delle altre banche centrali importanti (anche su questo c’è una ricerca, che arriva appunto a questo risultato), potrebbe almeno dare i consigli giusti.
Anche continuando ad applicare la ricetta dell’austerità, prima o poi, la crisi finirà. Ma i paesi dell’euro, e quelli mediterranei in particolare, avranno pesantemente sofferto per un periodo più lungo e milioni di persone avranno pagato prezzi pesantissimi che potrebbero invece essere resi molto meno drammatici.

Fonte: Repubblica del 7 marzo 2013

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