• domenica , 22 Dicembre 2024

Battere moneta è un palliativo inefficace, proprio come l’austerity

Gli “Scenari” di Carlo Pelanda costringono sempre a sottoporre a verifica le idee vecchie che, come scrisse John Maynard Keynes, si annidano nel fondo della nostra mente e impediscono l’affermarsi delle nuove. L’ultima rubrica sull’“errore di Paul Krugman” è particolarmente stimolante.
La frase che sintetizza la posizione dell’illustre collega è che il ritardo con cui la politica sostituisce fiducia con denaro è anche colpa degli “economisti come Krugman che restano ancorati ad analisi e soluzioni di un mondo che non c’è più, meno finanziarizzato e dove la politica poteva creare fiducia succedanea con liquidità a debito senza riformare la propria inefficienza”. Pelanda mi invita a chiarire se “riuscirà la ricerca sul denaro a evolvere verso visioni sistemiche capaci di mostrare alla gente e alla politica il nuovo mondo dove la priorità è stampare fiducia, cioè buone istituzioni?”.
Il concetto chiave dello scenario di Pelanda è quindi se la creazione di moneta in grandi quantità richiesta da Krugman (e da molti altri) può, da un lato, supplire alla fine della possibilità di creare “fiducia succedanea” attraverso l’indebitamento pubblico e, dall’altro, essere un viatico per quelle “buone istituzioni” che creano fiducia, ossia la materia prima delle iniziative produttive.
La mia risposta è netta: no!
Il motivo è che le modifiche di ambiente politico ed economico che Pelanda descrive non sono state comprese e, anzi, si sono confuse con il tentativo degli Stati Uniti e del resto del mondo sviluppato di sostituire la caduta dei profitti reali nelle loro aree con rendite finanziarie capaci di fronteggiare la disoccupazione generata dalla fuga del capitale produttivo verso le aree a basso costo del lavoro e welfare praticamente inesistente. Per ottenere questa sostituzione gli Stati Uniti hanno inondato se stessi e il mondo di dollari e di pseudo moneta (i derivati), una politica resa possibile dal fatto che, Cina in testa ma non unica, qualcuno era propenso a tenerseli.
L’Eurozona non è caduta nella stessa tentazione monetaria, ma i paesi dove la creazione di fiducia succedanea con il debito aveva ecceduto, non sono riusciti a sostituire profitti reali con rendite e la crisi è arrivata subito e prima di quella che dovremmo registrare quando l’errore di Krugman giungerà all’incasso. Il problema, come io lo vedo, è che il confronto tra istituzioni capaci di creare fiducia non è più alla portata della cooperazione internazionale invischiata nella crisi finanziaria e nell’eccesso di creazione di dollari e, ora, di euro.
Sono stati commessi troppi errori nel plasmare le istituzioni poste a presidio della globalizzazione, come la mancata nascita di una moneta di riferimento degli scambi indipendente da una moneta nazionale (ad esempio gli SDR del Fondo Monetario Internazionale) o, alternativamente, la fissazione di un regime di cambio comune per partecipare al libero scambio in ambito di Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Inoltre il processo di globalizzazione andava governato sottoponendolo a un periodo di adattamento delle strutture civili di welfare elaborate nei paesi sviluppati, invece di consentire il dumping sociale.
Vi è stato un patto perverso tra il post comunismo e il precapitalismo che ha portato indietro l’orologio della storia nel trattamento della forza lavoro. Finché il capitalismo ha avuto il vincolo esterno del comunismo ha accettato migliori condizioni di benessere per i lavoratori; venuto meno questo vincolo, ha ripreso i vecchi vizi e individuato nello sfruttamento del lavoro dei paesi arretrati il modo di formazione del suo sovrappiù e nell’inondazione finanziaria il modo di mantenimento della base di consenso nazionale.
Se si trovasse il modo di creare le buone istituzioni necessarie, sarebbe possibile uscire dall’impasse in cui versa il mondo. Ancora però non vedo affermarsi né una diagnosi corretta della situazione, né leader capaci di portare avanti le riforme necessarie. Nel mentre si impongono più tasse ai cittadini e più vincoli all’agire economico e si crea più moneta. Tutte cose che si dovrebbero evitare.

Fonte: Il Foglio del 25 febbraio 2012

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