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Banche ok, ma resta il nodo Grecia

Da ieri sappiamo che la stragrande maggioranza delle banche europee, tra cui tutte e 5 le più importanti banche italiane, riuscirebbe a reggere a un’altra crisi come quella del 2007-2009.
Però la storia difficilmente si ripete. Così i mercati finanziari non si sono rassicurati gran che, dato che una possibile nuova crisi se la immaginano diversa, centrata questa volta sul debito degli Stati.
In sé è stato severo l’esame dei nuovi stress test a cui sono state sottoposte le banche europee. Due anni fa, nell’esame precedente, erano state promosse anche banche irlandesi rivelatesi poi dei pozzi senza fondo. Questa volta su 90 banche otto sono bocciate e 16, per così dire, rimandate; in più la tedesca Helaba si è ritirata per evitare un verdetto negativo. Senza gli aumenti di capitale degli ultimi mesi, i bocciati sarebbero stati più del doppio, calcola la Reuters.
Per quanto poteva, ha fatto sul serio la nuova autorità di vigilanza europea, l’Eba, diretta dall’italiano Andrea Enria; si è anche scontrata con l’ente tedesco, il Bafin. La quantità di dati rivelati realizza un forte aumento della trasparenza; benché si sospetti che alcune autorità nazionali siano riuscite ad essere più indulgenti delle altre. Nel caso dell’Italia, diventa chiaro che le banche non sono oggi tra i suoi punti deboli; si conferma che aveva ragione Mario Draghi nei mesi scorsi a sollecitare gli aumenti di capitale poi realizzati (salvo che da Unicredit).
Il grande limite di questi nuovi stress test era nelle cose. Una istituzione ufficiale non poteva simulare gli effetti più gravi di una crisi non ancora accaduta; il rischio sarebbe stato di renderli più verosimili, forse più probabili. Per questa ragione di responsabilità si è ipotizzato cosa accadrebbe se la Grecia non ripagasse una quota dei propri debiti che ora appare troppo limitata; si è studiato l’effetto sulle banche di un rialzo dei tassi sul debito pubblico italiano non molto superiore a quello realizzatosi negli ultimi giorni.
La Banca d’Italia ci assicura che anche nella sgradevole ipotesi di una nuova e più grave caduta della fiducia del debito pubblico italiano, le nostre grandi banche non correrebbero rischi. Ma poco ci tranquillizza che i nostri depositi siano al sicuro se tutto attorno succede il pandemonio. Visto che di debiti degli Stati si tratta, l’essenziale è capire quali strumenti appronteranno i governi; si spera in qualche risposta più chiara, soprattutto sulla Grecia, dal vertice europeo ora convocato per il 21 luglio.
Altrimenti, sarà inevitabile che i mercati continuino a infierire sui titoli bancari, così come sui titoli di Stato dei Paesi deboli. Da una parte, resta il sospetto che qualche Paese sia stato più tenero degli altri verso i suoi banchieri. Dall’altra, si teme che il comportamento di alcuni governi sia impacciato dalle complicità tra potere politico e potere finanziario. E’ stato così a lungo, purtroppo, nei due Paesi più importanti dell’euro, la Germania e la Francia; con l’inconveniente che i rispettivi banchieri premevano in direzioni diverse.
Per ritrovare sicurezza, occorre avere il coraggio di essere più solidali con i Paesi deboli, o il coraggio di essere più severi con i banchieri: finora, a Berlino soprattutto, sono mancati tutti e due. L’importanza degli stress test di ieri non si misura tanto sull’impressione immediata, quanto nello sgombrare il campo alle ipocrisie: ora che sappiamo più in dettaglio come stanno le banche, si dovrebbe poter discutere in modo più sensato sul che fare dei debiti della Grecia. Anche per evitare il contagio, come interessa a noi italiani.

Fonte: La Stampa del 16 luglio 2011

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