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Banche e pensioni, la sfida dei 54 anni

Il confronto, o meglio lo scontro, sarà duro. Lo dicono i sindacati e lo dicono anche i banchieri. In vista c’ è l’ apertura delle trattative sul rinnovo del contratto di lavoro della categoria, prevista per fine maggio. Ma prima – l’ incontro è previsto per lunedì in Abi – è in programma l’ affondo sulla riforma del Fondo esuberi che finora ha consentito l’ uscita morbida e anticipata dal lavoro di trentamila bancari, ma che le banche vogliono cambiare perché costa troppo. I sindacati, spiega Lando Sileoni segretario generale della Fabi, sarebbero anche d’ accordo su qualche modifica anche importante per esempio sul trattamento economico previsto e sulla sua durata. Ma vogliono mantenere la volontarietà dell’ adesione al Fondo. Cosa che invece l’ Abi chiede di cambiare introducendo anche nel mondo delle banche l’ indennità di disoccupazione, per porre a carico dello stato quanto meno il primo anno dei cinque previsti per il trattamento del fondo. E così risparmiando una parte dei 200 mila euro del costo massimo per ogni lavoratore. Tale indennità però presupporrebbe il licenziamento condiviso dai sindacati di quei lavoratori che avrebbero i requisiti per l’ uscita anticipata in caso di ristrutturazione (53-54 anni con 30 anni di contributi): «Siamo assolutamente contrari ad introdurre nel settore l’ indennità di disoccupazione che vorrebbe dire licenziamenti mascherati» insiste Sileoni. Rilevando che quella del Fondo è una partita di fondamentale importanza in vista del rinnovo del contratto di lavoro. Su cui Francesco Micheli, capodelegazione dell’ Abi nelle partite sindacali, ha fatto calare un pesante out-out tra salario e occupazione, ottenendo, come era prevedibile, il coro compatto del «no» delle diverse siglie. «È possibile coniugare i due termini con un recupero contributivo secondo equità, incidendo sulle rendite dei vertici» dice ancora Sileoni invocando la leva redistributiva all’ interno delle banche. Sul contratto il presidente dell’ Abi, Giuseppe Mussari, ha questa visione: «È difficile fare accettare a tutti il fatto che bisogna cambiare» afferma rilevando che non si tratta solo di far fronte ad un evento temporaneo dovuto alla crisi economica. Ma ad una sorta di resa dei conti strutturale, necessaria per dare un futuro di lavoro alle nuove generazioni, spiega. Non si discute, aggiunge Mussari, di seguire o meno l’ esempio Fiat visto che nel credito non c’ è ragione di cambiare il modello contrattuale su due livelli, nazionale e aziendale. Ma di modificare metodo e obiettivi. Anche nelle banche cioè bisognerà chiedere ai lavoratori di partecipare al rischio di impresa. Cercando il consenso e prevedendo un luogo comune, per imprese e lavoratori, di discussione e verifica. Con una premessa, «bisogna convincerci tutti che è un cammino obbligato perché non possiamo permetterci di non farlo: l’ economia non cresce e un Paese che non produce ricchezza sacrifica i giovani». Le banche stanno meglio dell’ industria ma hanno, spiega il presidente dell’ Abi, obblighi gravosi da rispettare. Devono, tanto per dire la prima cosa, ricostruire un rendimento ragionevole per chi investe nel loro capitale e devono diminuire i costi di gestione, come chiede anche il governatore della Banca d’ Italia Mario Draghi. Certo riconosce Mussari non basta intervenire sui rapporti di lavoro, ci sono altri profili.

Fonte: Corriere della Sera del 26 febbraio 2011

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