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Banca Popolare di Milano, inizia il secondo round

Dopo il ko sulla trasformazione della banca in spa, affossata dai sindacati, Andrea Bonomi avvia il piano B: questa volta d’intesa con i dipendenti.
Dalla rivoluzione alle riforme, sognando un Porcellum che metta insieme democrazia finanziaria moderna e tradizione cooperativa. Alla Banca popolare di Milano è l’ora dell’indietro piano, quasi avanti. Andrea Bonomi, presidente e principale azionista con l’8,6 per cento attraverso il suo fondo Investindustrial, si lecca le ferite perché la sua proposta di trasformare la banca da cooperativa in società per azioni è stata stroncata sul nascere.
Appoggiato dalla Banca d’Italia e, credeva, anche da parte dei sindacati, il finanziere si è scontrato con le armate dell’ultima Stalingrado d’Italia: una banca dove i dipendenti, sfruttando il sistema del voto capitario (ogni socio vale un voto, indipendentemente dal numero di azioni), hanno fatto il bello e il brutto tempo per anni, pur avendo appena il 3 per cento del capitale. Ora Bonomi è costretto a cambiare strategia e a puntare, appunto, a una riforma più morbida. Del resto, fra i sindacati-padroni i più saggi non vogliono stravincere: «Siamo stati contrari, tutti, alla spa per una questione di valori» dice Lando Sileoni, segretario nazionale della Fabi, potente sindacato autonomo dei bancari «ma qualche correttivo nella governance ci può stare». Sileoni non lo dice, ma l’idea che circola è quella di ridurre il numero dei consiglieri di sorveglianza, dagli attuali 15 a 11, per attenuare la presa diretta delle varie sigle; ridurre il numero di deleghe, oggi cinque, esercitabile dai soci pensionati; ammettere il voto da remoto, purché dall’interno delle filiali e non da casa propria, per dare più spazio alla partecipazione democratica dei soci al voto.
«Per chi come me conosce bene la banca» afferma Paolo Bassi, che ne fu presidente per due mandati in quota Fisac-Cgil «un margine di trattativa sulla governance c’è, ma… mi fermo qui». Trattativa necessaria anche perché a Bonomi è venuto a mancare un appoggio importante: Fabrizio Saccomanni, che ha lasciato la direzione generale della Banca d’Italia, era un convinto sostenitore della spa, mentre il suo successore Salvatore Rossi non disprezza il modello coop.
Bonomi comunque un risultato l’ha ottenuto, facendo risalire il valore della Bpm in borsa. E portando a casa una bella plusvalenza: secondo indiscrezioni, avrebbe in carico le azioni della banca a un valore medio di 0,37 euro per un titolo che oggi ne vale 0,45.

Fonte: Panorama del 22 maggio 2013

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