L’origine della crisi di questa estate nella zona euro va ricercata in una pagina mai scritta del Consiglio europeo del 7-8 maggio 2010 in cui fu salvata per la prima volta la Grecia.
Su pressione della cancelliera tedesca Angela Merkel, i capi di Stato e di Governo raggiunsero un accordo informale tra i 16 Paesi dell’area dell’euro sulla necessità di coinvolgere le banche nazionali – i creditori privati della Grecia – nella messa in sicurezza del debito greco.
L’origine della crisi di questa estate nella zona euro va ricercata in una pagina mai scritta del Consiglio europeo del 7-8 maggio 2010 in cui fu salvata per la prima volta la Grecia. Su pressione della cancelliera tedesca Angela Merkel, i capi di Stato e di Governo raggiunsero un accordo informale tra i 16 Paesi dell’area dell’euro sulla necessità di coinvolgere le banche nazionali – i creditori privati della Grecia – nella messa in sicurezza del debito greco. Per Merkel il coinvolgimento punitivo dei banchieri rappresentava un obiettivo indispensabile a convincere l’opinione pubblica e i parlamentari tedeschi ad aderire a una soluzione europea alla crisi.
L’accordo raggiunto il 9 maggio nel successivo vertice dei ministri finanziari fu che le maggiori banche di ogni Paese dell’area euro non avrebbero venduto i titoli pubblici emessi da Atene custoditi in quel momento nei loro portafogli. Il modello era l’accordo di Vienna raggiunto l’anno precedente a favore delle banche dell’Est Europa, disegnato dalla Bers e adottato inizialmente con riluttanza in particolare proprio dalla Germania. Sull’iniziativa era necessario mantenere un elevato grado d’informalità per evitare che essa apparisse non come una partecipazione volontaria dei creditori privati, bensì come una partecipazione forzosa. In tal caso avrebbe rischiato di essere classificata come una violazione dei Trattati europei.
Il vertice Ue d’altronde sembrava aver salvato l’area dell’euro dalla crisi più acuta. La partecipazione delle banche creditrici non sembrava dunque un sacrificio irrealistico. Il giorno dopo il Consiglio Ecofin, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, riunì a Berlino 13 tra le maggiori banche e assicurazioni del Paese. Le banche come al solito erano guidate dal numero uno della Deutsche Bank, Josef Ackermann. Alcune banche tedesche, tra cui tutte le Sparkassen, si rifiutarono di aderire, sostenendo che l’onere avrebbe dovuto pesare sulle banche che avevano contribuito al dissesto dell’euro con investimenti spericolati, a cominciare dalle Landesbanken.
Anche Daimler, un gruppo industriale con vasti interessi finanziari, fu contattato ma decise di rifiutare. Altre banche sottolinearono la pura volontarietà dell’impegno ‘secondo le possibilità di ognuno’. Ma in 13 tra banche e assicurazioni, le maggiori del Paese, s’impegnarono a non liberarsi dei titoli greci per tre anni esatti, fino al maggio del 2013 e a mantenere attive fino al 2012 le linee di credito nei confronti di debitori greci. Incontri analoghi avvennero anche negli altri 15 Paesi dell’euro.
Due settimane dopo, fonti della Bundesbank, la Banca centrale tedesca, lanciarono un allarme rivelando che secondo i loro dati le banche francesi avevano tradito l’impegno preso e si erano già liberate in pochi giorni di molti miliardi di euro di titoli governativi greci, vendendoli alla Banca centrale europea che aveva acquistato dal mercato 25 miliardi di titoli governativi europei nell’ambito del controverso European Securities Program appena varato. I media tedeschi non mancarono di sottolineare, su ispirazione di fonti della Bundesbank, la coincidenza di un presidente francese a capo della Bce. La Federazione bancaria francese cercò di respingere l’accusa, ma i dati disponibili alla banca centrale tedesca sembravano inequivoci.
Nonostante il rinnovato senso di sfiducia nell’Europa suscitato dal sotterfugio francese, il ministro delle Finanze tedesco riuscì a vincolare gli istituti finanziari nazionali all’impegno preso. I titoli rimasero infatti nei portafogli delle banche tedesche almeno fino all’autunno del 2010. A metà di ottobre, tuttavia, lo scenario cambiò all’improvviso quando a Deauville, la cancelliera Merkel convinse, senza sforzi, il presidente francese Nicolas Sarkozy a formalizzare una volta per tutte la questione del ‘Coinvolgimento del settore privato’, cioè delle banche, in caso di default di un Paese della zona euro. Da Deauville venne la famosa dichiarazione congiunta franco-tedesca sulle responsabilità delle banche in caso di fallimento di ogni Paese dell’area dell’euro dopo il 2013.
Una dichiarazione che avrebbe cambiato il corso della crisi, costretto l’Irlanda a chiedere aiuto finanziario e riaperto senza ritorno gli spread tra Paesi del centro e della periferia. La proposta di Deauville fu poi leggermente corretta in occasione del successivo Consiglio europeo grazie all’intervento del presidente della Bce Jean-Claude Trichet. Ma il fatto che dovesse applicarsi solo dopo il 2013 – quando sarebbe scaduto l’accordo informale con le banche – era tecnicamente incoerente e non fu mai creduto dal mercato.
Un mese dopo Deauville, in un incontro ristretto a Berlino con la cancelliera Merkel e altri tre testimoni, il presidente della Deutsche Bank esternò la critica degli istituti finanziari alla proposta tedesca. L’ipotesi che i privati dovessero pagare un default greco – o degli altri Paesi oggetto di salvataggio – dopo il 2013, ma non potessero vendere i titoli greci prima di allora, significava che fin da ora avrebbero dovuto calcolare il valore dei titoli in portafoglio come se già fossero colpiti dalla clausola di coinvolgimento nel default. Di fatto Ackermann preannunciò che la sua e le altre banche tedesche avrebbero ricusato l’accordo del maggio 2010 e avrebbero cominciato a vendere i titoli della periferia dell’area euro.
Balletto franco-tedesco sulla Grecia all’origine di questa crisi di mezza estate
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