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Attivare lo scudo ESM per la crescita

Il calo dello spread sotto la soglia di 300 segna una bella tappa nella lenta riconquista di fiducia dei mercati nell’aggiustamento della finanza pubblica dell’Italia. Ma guardando avanti non dimentichiamo che sostenibilità del debito pubblico e crescita sono obiettivi indissolubilmente legati. Forse l’agenda Monti va meglio spiegata e più coraggiosamente declinata in chiave europea.
L’ultimo World Economic Outlook del Fondo Monetario internazionale parla di “rischi allarmanti di un serio rallentamento nella crescita globale” e di una probabilità intorno al 80% che la recessione nell’Euroarea, già scontata quest’anno, si prolunghi nel 2013. Previsione confermata dal rapporto semestrale dell’OCSE appena uscito, che non esita a individuare, fra le cause principali del peggioramento dello scenario economico europeo nel 2013-14, un consolidamento fiscale iniziato troppo presto e in simultanea nei diversi paesi. Il commissario Olli Rehn teme che, in questo clima di contagio recessivo, già nel 2014 si inverta la tendenza al mantenimento di un “pareggio strutturale” nei bilanci pubblici dell’Euroarea.
In questo quadro, nel confermare o meno fiducia all’Italia e al suo programma di rientro graduale da un alto debito pubblico, i mercati guardano, più che ai decimi di punto percentuale che ci separano dal raggiungimento di un pareggio “strutturale” già nel 2013, alla probabilità che le misure di politica economica decise oggi diano una scossa capace di invertire rapidamente questa prolungata recessione-stagnazione, appesantita dal macigno dei 90 miliardi di interessi passivi sul debito pubblico. Ancora oggi uno spread sia pure alleggerito rispetto ai picchi di pochi mesi fa, continua a penalizzare la competitività delle nostre imprese, che devono sopportare un aggravio di 3-4 punti percentuali sul costo del credito bancario rispetto ai concorrenti tedeschi. Mentre le banche sono indotte a razionare il credito a imprese e famiglie, la cui qualità media sta peggiorando, con sofferenze e incagli più che raddoppiati in cinque anni (governatore Ignazio Visco alla Giornata del Risparmio del 31 ottobre scorso).
Qui entra in gioco – come già suggeriva Ricardo Franco Levi sul Sole24Ore del 8 settembre – l’opportunità che l’Italia giochi d’anticipo nel rivolgersi al neonato ESM, non certo per chiedere un immediato intervento di soccorso finanziario di cui oggi non abbiamo bisogno, ma per garantirsi uno scudo futuro, sottoscrivendo con la troika (BCE-Commissione Europea-Fondo Monetario) quel Protocollo di Intesa (Memorandum of Understanding) che rassicurerebbe i mercati proprio sulle incertezze dei governi del dopo-Monti (o Monti-2). La stessa Corte europea del Lussemburgo ha appena ricordato (sentenza del 27 novembre) che l’intervento del ESM “ha natura preventiva” rispetto al rischio di crisi del debito sovrano. Verrebbero così fissate quelle “condizioni rigorose, efficaci e credibili su un orizzonte temporale esteso” (Mario Draghi nella prolusione tenuta in Bocconi lo scorso 15 novembre) necessarie per garantirsi lo scudo degli interventi illimitati da parte della BCE secondo lo schema innovativo delle OMT (Transazioni Monetarie Dirette). Uno scudo che potrebbe rapidamente diventare assai prezioso, con mercati dall’umore instabile, tra poco forse anche sulle prospettive incerte della “virtuosa” Francia (The Economist di venerdi 16 novembre).
Sarebbe forse questa una cessione indebita di sovranità, un consegnare il paese ad un umiliante “commissariamento” esterno? Al contrario: la riconosciuta competenza e autorevolezza del Monti-1, unitamente ai recenti segnali distensivi dei mercati, consentirebbe di negoziare un Protocollo che, confermando la credibilità futura dell’aggiustamento fiscale e strutturale già oggi in atto, promuova un mix rigore-crescita-equità più lungimirante, meno ossessionato dalla data dal pareggio strutturale (ormai sancito in Costituzione). Un mix che consentirebbe al ministro Grilli, già di fatto il nostro “commissario”, di non centellinare penosamente sgravi fiscali-contributivi pro-crescita in materie in cui imprese e famiglie hanno disperato bisogno: minor costo del lavoro per rilanciare la “buona” occupazione e un po’ di respiro per troppe buste paga ridotte all’osso. E senza qualche ripresa dei consumi delle famiglie le imprese sono ben poco incoraggiate a puntare su nuova occupazione e nuovi investimenti.
Non mancano esempi di auspicabili misure pro-crescita compatibili con un consolidamento fiscale in tempi ragionevoli e credibili: sostanziosi sgravi contributivi finanziati dalla cancellazione di sussidi dalla dubbia efficacia (proposta Giavazzi da ridefinire), riduzione di un punto nelle aliquote IRPEF del 23% e 27%, sconto IRAP anche prima del 2014, , potenziamento (anzi che taglio di 250 milioni) del nascente Fondo incentivi a salari di produttività, sostanziosi e prolungati crediti d’imposta sulle spese di R&S (magari limitati alle imprese che si aggregano in progetti innovativi di ricerca pre-competitiva), sostegno (anzi che taglio) ai beni culturali, il cui sistema è stimato pesare fino al 15% del PIL.

Fonte: Sole 24 Ore del 6 dicembre 2012

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