Chi crede nelle virtù della concorrenza si sentirà piuttosto depresso dopo aver ascoltato la Relazione del presidente dell’Antitrust. Antonio Catricalà ha fatto un elenco impietoso, e per certi versi coraggioso, dei settori in cui la regolazione costituisce un freno alla libertà di mercato. Ed è stata un’ecatombe: energia (elettrica e gas), telecomunicazioni, servizi pubblici locali, ferrovie, assicurazioni, poste, banche, autostrade, aeroporti, sanità, televisione, servizi privati e prestazioni professionali.
Ma che sistema è quello descritto da Catricalà? Una moderna economia di mercato o un concentrato di incrostazioni protezionistiche che perpetuano rendite di posizione a favore dei più furbi o dei più potenti? Possibile che nessun governo, nessun parlamento riesca a intervenire per cambiare le cose? E che senso ha, infine, arrovellarsi sul perché l’Italia non cresce più quando esistono queste barriere al corretto funzionamento dei mercati?
Il presidente dell’Antitrust ha ricordato che il legislatore nel 2009 ha individuato uno strumento assai efficace, almeno sulla carta, per modernizzare la normativa: una legge annuale sulla concorrenza in cui il governo, tenendo conto delle segnalazioni delle authority, propone i correttivi necessari a «promuovere lo sviluppo della concorrenza e a garantire la tutela dei consumatori». È vero che il 2010 è il primo anno di applicazione ed è vero che al ministero dello Sviluppo economico, cui spetta l’iniziativa, si è creata una situazione un po’ precaria dopo le dimissioni di Claudio Scajola. Fatto sta che siamo in giugno e della legge non si vede traccia nonostante che l’Antitrust abbia fornito tempestivamente una traccia su cui lavorare.
Nel frattempo sono numerosi i casi di “ritorno al passato”. Ovvero di interventi legislativi che mirano a ripristinare norme cancellate negli anni scorsi per liberalizzare alcuni settori: farmacie, assicurazioni, servizi professionali. Le lobby hanno capito che la crisi è un’occasione da non perdere per convincere il parlamento a reintrodurre protezioni faticosamente smantellate.
E allora c’è da chiedersi se, insieme alla legge sulla concorrenza, non sia meglio nominare all’interno del governo, magari alla presidenza del Consiglio che dovrebbe avere una visione a 360 gradi della legislazione prodotta, una sorta di Ethan Hunt, un agente speciale con la Mission impossible non solo di promuovere la concorrenza ma anche di bloccare tutto quanto rischia di ostacolarla. Si obietterà, a ragione, che così si introdurrebbe altra burocrazia. Eppure questo è un momento decisivo: la recessione è appena passata, e i governi, mentre sono impegnati a raddrizzare i conti pubblici, devono promuovere la crescita con tutti i mezzi a loro disposizione, anche per favorire l’aggiustamento del bilancio.
Catricalà non ne ha fatto cenno ma il tempo dei dubbi è finito: non ha più senso interrogarsi sugli aiuti di Stato e sulle deroghe alla libera concorrenza come è stato necessario nei due anni della crisi. Bisogna guardare avanti nella speranza che il motore della crescita si rimetta a funzionare.E la concorrenza è un additivo potente.
Incidere sulle rendite non è facile. Lo si è visto tante volte in passato. I lamenti, gli appelli accorati, quegli «eh sì, tuttavia noi siamo diversi» trovano sempre sponde pronte a mobilitarsi in un paese in cui la cultura della concorrenza non è così radicata come si vorrebbe far credere. Lo si è visto anche ieri, con il coro di distinguo che è seguito alla relazione dell’Antitrust. Proprio quello che diceva Ethan Hunt al suo capo Luther: «Rilassati, è molto peggio di quanto tu creda».
Attaccare le rendite missione possibile
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