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Aspettando il Big Bang

La soluzione “Big Bang”, quella che risolve tutto in un colpo, non è (ancora) sul tavolo dei leader europei. Entro il Consiglio Ue del 9 dicembre non è ragionevole attendersi né gli eurobond, né un cambio di vocazione della Bce, mentre affannosamente si lavora al magico moltiplicarsi delle risorse del fondo salva-Stati. Sarà vero che le strade lastricate di buone intenzioni finiscono nei posti sbagliati, ma allora consoliamoci: quella che l’Italia deve percorrere è lastricata di severe condizioni.
Una parte di responsabilità è nostra. L’aiuto della Bce nell’agosto scorso è stato sprecato dal vecchio Governo che non ha dato seguito alle riforme richieste come condizione. Ora agli appelli alla Bce si risponde da Francoforte citando il caso italiano di “azzardo morale”: intascato l’aiuto, gabbate le riforme. Per questo il nuovo Governo è sotto una pressione senza precedenti.
Il 9 dicembre a Bruxelles si sventolerà la bandiera retorica dell’unione fiscale.
Un abuso linguistico, perché si parlerà soprattutto di rafforzare la sorveglianza sui Paesi deboli e di trasferirne parte della sovranità di bilancio. Già ora i Paesi sotto attacco – tranne la Grecia – hanno piani di riduzione del debito più severi del resto delle economie avanzate. La credibilità degli impegni verrà però misurata sul piano fiscale che l’Italia presenterà e sul grado di realizzazione che Mario Monti saprà garantire disegnando il percorso parlamentare per le riforme.
Se le parole “unione fiscale” avessero un senso, a fronte dei maggiori vincoli ci sarebbe una condivisione delle garanzie sul debito e questo darebbe spazio a una parte “premiale” dell’unione fiscale: idealmente un fondo monetario europeo che si finanziasse ampiamente con eurobond. Ma almeno stando all’ultima riunione della Commissione bilancio del Bundestag, questi piani non esistono. La Germania stessa in fondo preferisce che sia la Bce a farsi carico della situazione e a comprare titoli sovrani (ma non troppi naturalmente), così per rafforzare il fondo salva-Stati si studiano nuove strade che coinvolgano appunto la Bce. Un’ipotesi su cui si lavora è di ottenere il co-finanziamento del fondo salva-Stati attraverso il Fondo monetario internazionale e le banche commerciali, che a loro volta verrebbero finanziati dalla Bce anche attraverso l’allentamento dei requisiti per i titoli collaterali che consentono appunto alle banche di ottenere liquidità.
Soluzioni “ombra” di questo tipo, d’altronde, sono state la regola in passato. Nel maggio 2009 il Sistema europeo di banche centrali finanziò in misura illimitata le banche e queste, ben istruite, acquistarono con quella stessa liquidità fino al 70% delle nuove emissioni di debito degli Stati. Fu il primo caso di finanziamento monetario dei debiti pubblici in sostanziale violazione dei Trattati, ma passò sotto silenzio per l’interesse di tutti i Paesi dell’area, tedeschi per primi.
Ora si tratta di fermare la crisi del debito sovrano in alcuni Paesi, c’è quindi un’asimmetria nei vantaggi fiscali, e i vincoli politici sono maggiori. Bisogna garantire che i debiti non aumentino in futuro e bisogna assicurare alla Bce che essa sia coinvolta temporaneamente. Nei tre anni passati, i governi non lo hanno fatto a sufficienza: in alcuni Paesi i disavanzi non sono stati ridotti, in altri le riforme strutturali non sono arrivate e infine non è stato ancora attrezzato un Fondo di salvataggio europeo che sollevasse la Bce.
Dieci giorni non sono molti per rimettere in ordine questo quadro, così è aumentata ancora una volta la pressione dei governi sulla Bce. D’altronde il rischio di recessione in caso di crisi dell’euro è tale che la Bce può legittimamente intervenire attraverso i canali di trasmissione della politica monetaria. Ci sono già segni di credit crunch nell’euro area e la Banca centrale deve sostituire il mercato come fornitore di liquidità alle banche. Ma è dubbio che le banche, impegnate in un processo di riduzione dei prestiti, acquistino titoli di Stato in cambio della liquidità, come nel 2009. Per questo è necessario che le banche fungano soprattutto da canale per il fondo salva-Stati.
Come in passato le soluzioni si affacciano quando il pericolo è condiviso. Le previsioni economiche per il 2012 non sono lineari. A un certo punto c’è una specie di salto: se la recessione aggrava la crisi del debito, questa aggrava la recessione e la curva del Pil fa un salto in giù. La crisi comincia a farsi sentire in Germania dove i tassi sui titoli a lungo termine sono aumentati sensibilmente, la crescita si è fermata e le banche sarebbero massacrate da una crisi dell’euro. La Francia ha esposizioni verso i Paesi in crisi pari al 60% del Pil. Non ci sono soluzioni che possano portare a una separazione dell’area euro tra peccatori e virtuosi, ma solo tra deboli e indeboliti.

Fonte: Sole 24 Ore del 30 novembre 2011

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