La Grecia e il futuro dell’euro, la crisi dei debiti sovrani e le banche “addicted”, l’inflazione che rialza la testa, la Germania che corre veloce e la ripresa bonsai dell’Europa del Sud. Non sono pochi i dossier difficili che attendono il futuro presidente italiano della Banca centrale europea, Mario Draghi, quando, alla fine del prossimo mese di ottobre, il francese Jean Claude Trichet gli passerà il testimone.
Con la reductio ad unum delle candidature, avvenuta ieri a Bruxelles,il percorso è ormai tracciato e sembra ormai lontanissima quella infelice copertina di Bild “Mamma mia!” con la quale il tabloid tedesco sottolineava che che «per gli italiani l’inflazione è uno stile di vita come la salsa di pomodoro con la pasta».
Però è indubbio che all’arrivo del banchiere centrale italiano sarà considerato con grande attenzione il suo rapporto con i paesi del Sud d’Europa nostri vicini di casa, quelli più vulnerabili, se si eccettua l’Irlanda, rispetto alla crisi del debito sovrano. Secondo alcuni il governatore potrebbe essere più convincente con i governi meridionali di Eurolandia spingendoli ad adottare discipline finanziarie rigorose. Va detto, tuttavia, che sulla propria filosofia di banchiere centrale europeo l’attuale governatore di Bankitalia è sempre stato molto chiaro. «Il compito della Banca centrale europea ha spiegato di recente Draghi è di salvaguardare la stabilità dei prezzi e una crescita sostenibile è possibile solo se basata dalla stabilità.
Dunque non serve nemmeno ai Paesi deboli una crescita di quelli forti se questa è accompagnata dall’inflazione». E non basta: in un’intervista alla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, Draghi ha sottolineato che «se le economie più deboli non sono cresciute negli anni passati pur in presenza di un tasso di riferimento quasi pari a zero, le ragioni della loro debolezza non sono da ricercare nella politica monetaria, ma altrove. Inoltre ha aggiunto Draghi dopo la crisi, il fattore determinante per gli investimenti è il premio al rischio; se la stabilità dei prezzi è minacciata, un aumento dei tassi di riferimento riduce i premi al rischio e ne beneficiano anche i Paesi a crescita lenta». Come si vede, si tratta di una prosa piuttosto convincente anche per chi, come la Germania, si ritiene il più geloso custode della cultura della stabilità.
Ma “Supermario” è molto orgoglioso di essere italiano. La sua biografia è nota: l’economista è nato a Roma nel 1947, si è laureato all’università La Sapienza con Federico Caffè, ha studiato al Mit di Boston con il premio Nobel Franco Modigliani, è stato direttore esecutivo alla Banca Mondiale, è stato direttore generale del Tesoro per dieci anni dal ’91 al 2001, gestendo le privatizzazioni, dando vita al Testo Unico della Finanza e lavorando dalla presidenza del comitato monetario alla gestazione e nascita dell’euro, ed è poi approdato al settore privato in Goldman Sachs.
Un marchio, quello della grande banca d’affari americana a raggio globale, che dopo la crisi finanziaria ha perso parecchio smalto e anche un po’ di reputazione, tanto che l’averlo nel curriculum professionale ha giocato in qualche modo a suo sfavore. Anche se il governatore ha più volte sottolineato di essere completamente estraneo dalle operazioni finanziarie spericolate che la banca d’affari avrebbe compiuto ai danni del Paese più in difficoltà di Eurolandia, la stessa Grecia che la Bce è ora impegnata a salvare. Poi, Draghi viene chiamato a Via Nazionale come successore di Antonio Fazio. Era la fine del 2005 e il suo compito è stato innanzitutto quello di restituire autorevolezza e prestigio alla Banca d’Italia, la cui immagine è uscita tutt’altro che indenne dallo scandalo dei “furbetti del quartierino”.
Al nuovo governatore tocca anche riordinare il sistema bancario italiano, con le grandi fusioni degli ultimissimi anni. Da ultimo, Draghi è approdato sulla prestigiosa poltrona della presidenza del Financial stability board, l’organismo che riunisce i regulators (ministeri delle Finanze, banche centrali ,organismi di controllo del mercato) dei Paesi del G-20 e ha coordinato il faticoso percorso che sta portando i Paesi delle due sponde dell’Atlantico a produrre nuove regole finanziarie a prova di crisi.
La nota di orgoglio di appartenere all’Italia, un Paese dove, se è necessario, la gente sa rimboccarsi le maniche senza chiedere aiuto a nessuno, è risuonata più volte nei discorsi di Draghi, sotto forma di rievocazione della crisi del 1992. «Il Governo di Giuliano Amato ha ricordato Draghi elaborò un gigantesco piano di risanamento con il supporto tecnico della Banca d’Italia, con correzioni di bilancio pari al 5,6 per cento del Pil. Noi non andammo al Fondo monetario, non c’era nessun meccanismo di salvataggio europeo allora: semplicemente, poiché i mercati ritenevano credibile il nostro piano, riuscivamo a collocare i nostri titoli per importi di 50-60 miliardi di euro al mese».
Ascesa nel segno del rigore
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