• sabato , 23 Novembre 2024

Antitrust petrolifero?

Lo shock petrolifero che stiamo vivendo induce a riflettere sul suo impatto nel mondo. La globalizzazione è una tendenza generale che per funzionare al meglio – ossia produrre i frutti migliori – necessita una totale libertà dei mercati. Oggi il più grosso limite alla libertà dei mercati non è la Cina ed il suo mondo chiuso di oltre un miliardo d’individui, bensì il cartello dell’OPEC, ossia un oligopolio di produttori mondiali di petrolio che vincola i membri a regolare la produzione e, con essa, i prezzi, sottraendoli al libero gioco della domanda e dell’offerta. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il mondo occidentale sta pagando ai produttori un imposta petrolifera da essi deliberata e dovrà subire per ciò stesso un rallentamento del suo sviluppo a meno di consentire una maggiore inflazione. 
Sino ad oggi si è tentato di condizionare i membri dell’OPEC attraverso l’arma della moral suasion. Essa gioca soprattutto per la collaborazione del più grande produttore amico degli USA. l’Arabia Saudita, ma incontra crescenti difficoltà con l’Iraq e l’Iran e ormai anche con il Venezuela e la Nigeria. D’altra parte, gli obiettivi dell’OPEC non sono solo di massimizzare l’incasso di petrodollari ma assumono aspetti di ricatto politico non sopportabili. Soprattutto, dello shock petrolifero l’Iraq cerca di profittare per seminare discordia nel campo di Agramante, ad esempio con appelli all’anello più antiamericano dell’alleanza atlantica, l’Italia, a dissociarsi dall’embargo con l’acquisto di petrolio a prezzo di favore: Il prof. Gros-Pietro – per non essere da meno del suo predecessore Enrico Mattei – si è affrettato a parlare del vantaggio che ne deriverebbe per l’Italia, dimenicandosi di monetizzare il costo del discredito internazionale che l’Italia ha già pagato quando faceva il doppio gioco con Geddafi.

Ricordiamo questo aspetto per sottolineare la gravità del disturbo che sta arrecando al mondo il comportamento dell’OPEC e per affermare che questo bubbone deve essere estirpato al più presto ed a tutti i costi. Contro le Sette Sorelle concessionarie di ricerche e sfruttamento che cercavano di dominare il mercato petrolifero hanno tuonato, a suo tempo, le sinistra anticapitaliste di tutto il mondo. Ne hanno profittato gli Stati, sopprimendo unilateralmente il sistema delle royalties attraverso la nazionalizzazione dei pozzi ed intervenendo direttamente sul mercato.

Ma oggi occorrerebbe una seconda rivoluzione con l’istituzione alle Nazioni Unite di un’organizzazione internazionale antitrust non molto dissimile da quelle che un buon numero di Stati democratici ha organizzato sul piano nazionale. Utopia? Certamente. I paesi OPEC grondanti di petrodollari possono ormai comperare la maggioranza dei voti di centania di piccoli paesi. Inoltre, mancano i principi giuridici per giustificare l’eventuale creazione di un Agenzia Petrolifera Mondiale (tipo le comunità europee: Euratom, CECA ecc.). Ciò che oggi possiamo fare è solo di buttare il seme di un nuovo principio che – se applicato – creerebbe il quadro per soluzioni ottimali. Questo seme dovrebbe consistere nel principio che le riserve fossili del sottosuolo – non appartengono agli Stati, bensì al mondo, all’universo abitato. Così si porrebbe al mondo un’alternativa inequivoca: o libero mercato o “universalizzazione” del sottosuolo fossile, in luogo dell’attuale sottosuolo nazionalizzato. Tertium non datur. Seconda utopia? Certo, ma buttare il seme non costa nulla. Ci vorranno decenni, ma forse il seme potrebbe un giorno dar frutto.

Fonte: tratto da: "Il Giornale di Brescia" del 22 settembre 2000

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