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Antitrust meno severo per competere sui mercati

di Fabrizio Onida

In che senso l’Europa dovrebbe rivedere le regole della concorrenza, come richiesto dal neocommissario UE Thierry Breton nell’intervista di Beda Romano pubblicata il 17 gennaio su questo giornale? Breton cita tempi più rapidi di istruttoria e fa un generico riferimento alla sfida dl Green New Deal. Cita poi, fra i casi passati di malfunzionamento in cui la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha annullato decisioni della Commissione UE contrarie a fusioni tra concorrenti in nome dei rischi da  posizione dominante, la vicenda in cui nel 20001 l’allora Direzione UE alla Concorrenza presieduta da Mario Monti bloccò l’acquisizione da parte della francese Schneider del suo più diretto concorrente francese Legrand sul mercato delle apparecchiature elettriche a bassa potenza (centraline, quadri e relativi materiali).

Va ricordato che, tra ricorsi e controricorsi in primo e secondo grado, in questo caso molto particolare la stessa Schneider già nel 2002 rinunciò unilateralmente alla partecipazione societaria in Legrand rivendendola al fondo Wendel/KKR, con una perdita superiore al miliardo di euro. Il caso si è chiuso nel 2009, condannando la Commissione a un solo modesto indennizzo a Schneider di 50.000 euro per spese processuali. La mancata concentrazione non sembra peraltro aver nuociuto alla crescita dell’industria europea in questo settore. Legrand nel 2006 si è quotata mantenendo KKR e Wendel come azionisti col 60% di maggioranza e realizza oggi un fatturato intorno ai 6 miliardi con 37.000 addetti, dopo aver proseguito in una fitta serie di acquisizioni (tra cui l’italiana B-Ticino) e specializzandosi in aree chiave come Internet delle cose. Schneider resta il maggiore concorrente con 25 miliardi di euro di fatturato e 136.000 dipendenti.

Dopo altri casi di contrasto fra Commissione e Corte di Giustizia nel valutare la liceità di concentrazioni industriali (infra-nazionali come Airtours-First Choice nei viaggi vacanza nel Regno Unito  , o cross-border come la svedese Tetra Laval con la francese Sidel  nelle bottiglie di plastica), nel 2004  il Consiglio UE ha rivisto il Regolamento sulle fusioni (Merger Regulation), accrescendo i poteri ispettivi della Commissione.

La materia è dunque ancora in divenire. Al di là delle disquisizioni procedurali sulle fasi di ascolto e istruttoria, che alimentano la letteratura dii Diritto europeo e su cui lucrano molto volentieri gli studi di avvocati a difesa della Commissione o delle parti industriali, da economista che segue la concorrenza dinamica sui mercati internazionali penso che la politica della concorrenza nella UE potrebbe affinare le proprie armi di garanzia sotto almeno due profili.

In primo luogo sarebbe utile un confronto aperto fra economisti sui limiti analitici dei modelli di simulazione econometrica “calibrata”, da cui la Commissione attinge per valutare in quale misura fenomeni di concentrazione industriale e relativa posizione dominante di qualche  soggetto  (domestico  o cross border) producono pericolosi effetti di inefficienza come prezzi di monopolio, riduzione della gamma di prodotti-servizi offerti, minor concorrenza  tra fornitori a monte, minori incentivi a innovare. E’ noto agli addetti ai lavori che anche lievi varianti nella specificazione econometrica e nei parametri quantitativa del modello, magari derivanti non solo dalla stima del passato ma anche di ragionevoli ipotesi sul prossimo futuro quanto alle quote di mercato mondiale, possono portare a conclusioni empiriche assai diverse sull’abuso di posizione dominante. Ricordiamo che in punto di diritto non è disciplinata per sé la posizione dominante dei soggetti, ma il rischio provato di abuso, per esempio pratiche di prezzi predatori o requisiti operativi che oggettivamente impediscono l’ingresso di nuovi concorrenti.

In secondo luogo, occorre tener conto che l’Europa intera (non solo l’Italia) è crescentemente esposta ai rischi di una aggressiva concorrenza esterna (Cina, Giappone, USA, Corea, Taiwan, India…) in settori a forte dinamismo tecnologico e di forme di mercato, dove la dimensione aziendale e le relative economie di scala e di scopo possono essere decisive nel condizionare gli esiti del gioco competitivo globale. Si pensi a informatica e gestione di big data, telecomunicazioni, energia, trasporti aerei-navali-terrestri, farmaceutica, chimica fine. Ciò suggerisce che, per evitare decisioni affrettate che possono compromettere la capacità europea di competere con efficacia e lungimiranza, nei casi in cui l’istruttoria lasci ampi margini di incertezza circa il rischio di abusi, la Commissione approvi in prima battuta la proposta di concentrazione europea riservandosi di monitorare a scadenza ravvicinata l’effettiva evoluzione dei mercati e gli eventuali abusi da potere dominante. Già storicamente la Commissione si avvale di valutazioni discrezionali, come quando impone al nuovo gruppo di dismettere alcune partecipazioni minori. Un uso saggio e lungimirante (non statico) della discrezionalità nei poteri esclusivi della Commissione può garantire la reciproca compatibilità tra politica antitrust e una moderna politica industriale.

Fonte: da il Sole24Ore, 22.01.2020

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