• sabato , 23 Novembre 2024

Anti-politica non fa governo

Assumere donne al Sud, ridurre la burocrazia degli appalti e portarla a zero nei distretti turistici, dare a tutti una carta d’identità elettronica, incentivare la ricerca commissionata alle università: anche se tutte le semplificazioni semplificheranno e tutti gli incentivi incentiveranno, la “fantasia positiva” (copyright di Alberto Orioli sul Sole 24 Ore di ieri) del decreto sviluppo non è l’equivalente di una politica.
Anche se il comportamento del Fisco diventerà coerente con le istruzioni impartite agli ispettori fiscali, anche se verranno smentiti quelli a cui l’obbligo di presentarsi in borghese richiama alla mente il lupo con la cuffietta della nonna di Cappuccetto Rosso («è per meglio mangiarti, nipotina mia!»), il Fisco Forte e Gentile non è il succedaneo di una riforma fiscale. Anche se l’insieme delle misure adottate non modifica i saldi di bilancio, questo viene presentato come sofferta conseguenza di un vincolo, non come libera convinzione che la crescita non viene dalla spesa in deficit ma dal migliore impiego delle risorse date e dalla capacità di attrarne di aggiuntive.
Se si fosse convinti che gli individui sono più efficienti dello Stato nelle scelte allocative, coerentemente si ricomincerebbe a liberalizzare e privatizzare: e invece queste parole sono uscite dall’agenda politica, sia a livello nazionale che a livello municipale, perfino nelle grandi città del Nord. E quanto alla risorse aggiuntive, ci si adoprerebbe per attirare capitali esteri, invece di aggiungere norme specifiche ai ben noti ostacoli “naturali” di una burocrazia inefficiente e di un sistema di protezione legale incerto e lento; e si avrebbe il coraggio di dire che anche l’immigrazione è una risorsa. Ma per far questo bisognerebbe avere un progetto.
Perché il Governo, invece di promuovere la crescita intestandosi un’ambiziosa politica di riforme, sembra preoccupato di dimostrare che intende evitarle, sostituendole con un elenco di iniziative spicciole? I grandi cantieri della sanità e della scuola richiedono tempi lunghi e modifiche strutturali di governance, su cui sono impegnati altri tavoli.
Ma prendiamo il caso emblematico del mercato del lavoro: perché non si pone mano al disboscamento della giungla normativa, un’operazione d’igiene più che una riforma? Perché la resistenza a intervenire per consolidare una riforma dei contratti aziendali e della democrazia sindacale che mai come ora è sembrata a portata di mano? Ovviamente perché il Governo pensa che non gli convenga: teme che i timidi e gli incerti (o gli esplicitamente contrari) presenti all’interno della sua maggioranza possano essere attratti da un’opposizione che non discute ponendosi all’interno di una logica riformista, ma che antepone un rifiuto pregiudiziale. Meglio allora porsi come strumento a tutela degli interessi, contando sul fatto che gli elettori preferiscono chi c’è a chi ci potrebbe essere.
Il monito “giolittiano” di Giorgio Napolitano («la sinistra sia credibile, affidabile, praticabile altrimenti resterà all’opposizione») viene interpretato dagli esegeti in chiave di politica estera, con riguardo alle posizioni prese dalla sinistra sulla questione libica. Ma le sue parole offrono lo spunto per chi, oltre l’occasione e la contingenza, voglia fare una riflessione generale sulle responsabilità di questa opposizione sulle scelte di questa maggioranza.
Questa opposizione, quando è stata al Governo, ha fatto importanti riforme, le grandi privatizzazioni, il testo unico della finanza, il mercato del lavoro, il rigore per entrare nell’euro. Questa maggioranza ha conquistato il potere con un programma liberalizzatore, e nell’ultimo periodo ha fatto una politica di rigore nei saldi di bilancio. Se le riforme restano al palo è anche perché la pregiudiziale dell’antiberlusconismo fa deviare la normale dialettica maggioranza-opposizione: prima delle cose da fare viene l’esigenza di rimuovere l’irriducibile anomalia.
Si verifica quindi una singolare asimmetria: mentre la sinistra s’identifica in un unico “anti” preciso, la destra giostra con una pluralità di “anti” metaforici, – il comunismo, l’azionismo, i magistrati, la Rai, le vestali della Costituzione, la Fiom. Senza un programma “credibile, affidabile, praticabile” la sinistra reagisce pavlovianamente in difesa di posizioni conservatrici, e resta spiazzata, balbettante e incerta di fronte a un collage di iniziative come questo provvedimento: ad esempio non può richiedere le riforme del mercato del lavoro che pure sono state elaborate al suo interno; non può sostenere l’autorità per l’acqua avendo ceduto al ricatto e appoggiato il referendum; non può sostenere le liberalizzazioni, essendosi alleata con chi vuole lasciare i servizi pubblici in monopolio ai Comuni.
E pensare che c’è una larga parte del mondo industriale che vorrebbe che qualcuno almeno capisse i suoi problemi. Ma per questo ci andrebbe una visione del Paese e della propria azione. Non che sia facile, ma almeno ci si potrebbe provare.

Fonte: Sole 24 ore del 7 maggio 2011

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