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Anche l’Italia è un Paese in via di sviluppo sostenibile. Un’Alleanza per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda Globale 2030

Anche l’Italia è un Paese in via di sviluppo sostenibile. Un’Alleanza per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda Globale 2030

di Donato Speroni.

17 Obiettivi e i 169 Traguardi elencati nei Sustainable development goals (SDGs) dell’Onu non sono dichiarazioni velleitarie, ma impegni precisi che 193 Paesi delle Nazioni unite hanno sottoscritto nel settembre 2015 e che impegnano tutto il mondo da oggi al 2030 su scelte che evitino il collasso del Pianeta. Non c’è in gioco solo l’ambiente minacciato dal riscaldamento climatico e da altre sciagure, ma anche l’equilibrio sociale sconvolto da diseguaglianze e ingiustizie. I nuovi Obiettivi impegnano anche i Paesi sviluppati. L’Italia, per esempio, si è impegnata a dimezzare le persone in povertà assoluta (oggi quattro milioni) entro il 2030 e a ridurre sostanzialmente entro il 2020 i due milioni e mezzo di giovani Neet, che non studiano e non lavorano. Serve un grande impegno non solo della politica ma della società civile, e già oggi numerose associazioni e imprese operano per portare l’Italia sul percorso della sostenibilità. Ottanta di queste realtà sono ora riunite nell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile promossa da Enrico Giovannini e presentata venerdì 11 alla Camera. Come ha detto Laura Boldrini, contribuirà a correggere lo short termism della politica italiana, l’abitudine della classe dirigente a guardare solo al breve termine e nascondere i problemi di più ampio respiro sotto il tappeto.

Ogni epoca ha le sue parole chiave. Nei primi decenni di questo secolo la “sostenibilità” si è imposta ed è diventata una specie di mantra, tanto che anche l’Onu ha sostituito gli Obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium development goals – MDGs), validi dal 2001 al 2015 con gli Obiettivo di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals – SDGs) per il quindicennio che si è aperto nel 2016. Siamo tutti preoccupati per le sorti del Pianeta ed è quindi giusto qualificare lo sviluppo in modo da non distruggerlo.

Attenzione però: la sostenibilità non è soltanto un concetto ambientale. Non basta cioè difendere il capitale naturale di un Paese per evitare che la sua collettività regredisca. La crescita delle diseguaglianze, l’oppressione delle minoranze o la negazione dei diritti delle donne possono portare a situazioni degradate o addirittura esplosive. Vanno dunque preservati anche il capitale sociale e umano, oltre a quello economico che, adeguatamente utilizzato, resta il motore del benessere. Sarebbe sbagliato scaricare tutto il peso delle politiche di sostenibilità su quella branca dell’amministrazione pubblica che si occupa di ambiente, perché la sostenibilità dovrebbe essere alla base dell’intera strategia politica dei governi.

Questo nuovo ed esteso concetto di sostenibilità ha informato l’adozione dell’Agenda globale 2030, che si esprime nei 17 Goals dell’Onu di cui almeno 10 riguardano la sostenibilità sociale. Rispetto agli MDGs, che furono in una certa misura “calati dall’alto” cioè inventati al Palazzo di vetro, e che riguardavano soprattutto i governi, ci sono due importanti novità:

  • Gli SDGs sono stati elaborati con un vastissimo concorso degli Stati, ma anche di associazioni della società civile e organizzazioni delle imprese. Sarà impossibile mantenere gli obiettivi se si disperde questa vasta mobilitazione.
  • Gli SDGs impegnano tutti i 193 Paesi che hanno sottoscritto l’Agenda globale, quindi anche le nazioni industralizzate. In questo senso siamo tutti Paesi in via di sviluppo sostenibile, come è stato detto ieri alla Camera.

Non sono solo parole. I 17 Obiettivi si articolano in 169 Traguardi (target), molti dei quali impegnano anche l’Italia. Prendiamo per esempio l’Obiettivo 1, che afferma:

Entro il 2030, eliminare la povertà estrema per tutte le persone in tutto il mondo.

Suona velleitario, ma se si vanno a vedere i sette traguardi in cui si articola l’Obiettivo 1, al Traguardo 1.1 si legge:

Entro il 2030, eliminare la povertà estrema per tutte le persone in tutto il mondo, attualmente misurata come persone che vivono con meno di $1,25 al giorno.

Dunque la povertà che si ritiene possibile cancellare dalla faccia del Pianeta è quella che la Banca Mondiale definisce “estrema” e che grazie al cielo non esiste più in Italia, come negli altri Paesi sviluppati. Leggiamo però il Traguardo 1.2:

Entro il 2030, ridurre almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà in tutte le sue dimensioni in base alle definizioni nazionali.

In altre parole, nel prossimo quindicennio dovremmo ridurre il numero delle persone che in Italia vivono sotto gli standard definiti dall’Istat di “povertà assoluta” da quattro a due milioni e dimezzare anche i quasi sette milioni in “grave deprivazione materiale”. Un impegno molto importante e difficile, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la percentuale di famiglie povere è più elevata.

Si potrebbe continuare. Diamo solo un altro esempio: nell’ambito dell’Obiettivo 8 che impegna a:

Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti,

il Traguardo 8.6 raccomanda:

Entro il 2020, ridurre sostanzialmente la percentuale di giovani disoccupati che non seguono un corso di studi o che non seguono corsi di formazione

Poiché i cosiddetti Neet (not in education, employment or training) in Italia sono due milioni e mezzo dai 15 ai 29 anni, ai quali si aggiunge un altro milione almeno se estendiamo la categoria fino ai 34 anni, questa riduzione dovrebbe coinvolgere almeno 500mila giovani che attualmente sono fuori dai circuiti di formazione.

E poi ovviamente c’è l’ambiente, la difesa del territorio, la lotta al degrado delle città. È davvero possibile mettere l’Italia su un percorso sostenibile? Quattro anni fa, quando con Gianluca Comin presentammo il nostro libro 2030 La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla grande crisi fummo recensiti con attenzione a invitati a molti dibattiti, ma avemmo la sensazione di essere un po’ dei marziani rispetto ai temi in voga. Oggi la situazione è cambiata perché nella cosiddetta “società civile” sulla sostenibilità c’è una grande mobilitazione. Centinaia, forse migliaia di organizzazioni di vario genere operano su aspetti che sono attinenti agli Obiettivi dell’Onu. È mancata finora, però, la possibilità di “fare rete”, scambiandosi esperienze e buone pratiche, e anche di agire insieme per incidere sulle scelte della politica. Non dimentichiamo infatti che l’Agenda globale Onu impone anche momenti di verifica, con un monitoraggio annuale demandato all’High Level Political Forum e comporta iniziative di governo, anche a livello nazionale. Dopo l’approvazione degli SDGs all’Onu, in Italia è entrata in vigore la legge 221 del 2015 che prevede:

L’aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, integrata con un apposito capitolo che considera gli aspetti inerenti alla «crescita blu» del contesto marino, è effettuato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

La legge è entrata in vigore il 2 febbraio 2016, quindi i 90 giorni scadono ai primi di maggio. Siamo ancora in una concezione puramente ambientale, ma l’occasione è significativa per cominciare ad affrontare le tematiche della sostenibilità in tutta la loro complessità.

Ieri alla Camera è stata presentata l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) che si propone appunto questo ruolo e che, nei pochi mesi da quando l’economista Enrico Giovannini ha lanciato l’idea, ha già raccolto l’adesione di circa 80 associazioni. L’Asvis si avvale del supporto della Fondazione Unipolis e dell’Università di Tor Vergata e infatti ieri alla Camera per l’Alleanza hanno parlato Pierluigi Stefanini, Presidente della Fondazione Unipolis e Presidente dell’Assemblea ASviS, e Giuseppe Novelli, Rettore di Tor Vergata, mentre la relazione è stata presentata dallo stesso Giovannini, che nella “struttura leggera” dell’Alleanza ha il ruolo di Portavoce.

Sempre ieri, si è inaugurato il sito dell’Asvis, che oltre a dare notizie sulle iniziative dell’Alleanza e degli aderenti, vuole essere un punto di riferimento per seguire dall’Italia gli sviluppi dell’Agenda globale. Per esempio, sul sito si può trovare la versione italiana dei 169 traguardi, che finora non erano stati tradotti.

Funzionerà tutto questo? Faccio parte del Segretariato dell’Alleanza, quindi non sono un osservatore imparziale. Spero con tutte le mie forze che l’iniziativa contribuisca a mettere l’Italia sul sentiero della sostenibilità, ma non posso nascondermi le difficoltà. Il Paese soffre di quello che la presidente della Camera Laura Boldrini ieri nel suo discorso di apertura ha definito short termism, cioé la tendenza a guardare soltanto il breve termine, quello che può dare un immediato dividendo elettorale, nascondendo sotto il tappeto i problemi di più lungo termine. Anche sui media è difficile trovare spazio per riflessioni non contingenti. Per esempio, tutte le discussioni sui migranti in Europa guardano solo a quello che sta avvenendo a seguito delle guerre in Medio oriente, ma, come ha ricordato Giovannini a “Otto e Mezzo” venerdì sera, ignorano la previsione dell’Onu che nei prossimi decenni circa 250 milioni di persone abbandoneranno le loro zone d’origine per via dei mutamenti climatici. Senza una strategia lungimirante il problema ci sfuggirà di mano e alla fine saremo sommersi senza riuscire a integrare quelli che saremo cstretti ad accogliere.

Proprio per questo, però, è importante coordinare e dare risalto a tutte le iniziative della società civile in materia di sostenibilità. Nel suo discorso conclusivo alla presentazione di ieri, il ministro Gian Luca Galletti ha annunciato che l’Alleanza sarà un interlocutore primario nella elaborazione delle strategie governative in materia di sostenibilità. C’è un sacco di lavoro da fare, insomma, ma è bello avere la sensazione che siamo in tanti a pensare che ne valga la pena. Il sondaggio che ho pubblicato su Numerus una settimana fa evidenziava che gli intervistati attribuivano più o meno un 50% di probabilità ad un miglioramento delle condizioni del Mondo, dell’Europa e dell’Italia nei prossimi dieci anni. Invece di lanciare la monetina, si può fare qualcosa di concreto per migliorare la situazione.

 

Fonte: Numerus.Corriere.it

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