Larchitettura del Governo Prodi (trasferimento di competenze dal Ministero dellEconomia al nuovo Ministero per lo Sviluppo, concentrazione a Palazzo Chigi della Segretaria del Cipe), più ancora delle dichiarazioni (a volte contrastanti) di molteplici esponenti dellEsecutivo sembra indicare un rilancio della politica industriale. Da intendersi nel senso di intervento della mano pubblica nelleconomia, sia direttamente sia indirettamente, per pilotare la modernizzazione del manifatturiero e, quindi, un rilancio di produttività e di competitività. E questo quadro, tra laltro, che non si parla più di dimagrimento o di chiusura di Sviluppo Italia s.p.a. (uno dei punti che parevano irrinunciabili nei programmi dellUnione) e si guarda con grande simpatia alla Cassa Depositi e Prestiti.
Il termine stesso politica industriale non evoca ricordi particolarmente felici. Lattuale Ministro dellInterno Giuliano Amato pubblicò un libro durissimo nel lontano 1976 in cui la definì impicciona e pasticciona sulla base delle esperienze degli Anni 60 e 70 (che portarono, oltre a finanziamenti a pioggia, alla sanguinose guerre chimiche ed agli investimenti fuori tempo in metallurgia e siderurgia). Quando, nella precedente legislatura, Giulio Tremonti propose di rispondere con una strategia di politica industriale alla sfida dallEstremo Oriente, piovvero accuse di colbertismo (dal nome del Ministro delle Finanze di Luigi XIV) e di protezionismo. Negli ultimi dieci anni, lo strumento principale è stato la legge 488 per incentivi alle imprese su base competitiva. Unanalisi del servizio studi della Banca dItalia (il temi di discussione n. 582) ne mostra luci (poche) ed ombre (molte): le imprese agevolate aumentano i loro investimenti in seguito allapprovazione degli incentivi ma li riducono dopo qualche anno ed in aggiunta le agevolazioni esercitano un effetto di spiazzamento nei confronti delle aziende che non ne fruiscono.
Ciò nonostante, tra tante voci ed indicazioni discordanti si potrebbe trovare un filo conduttore dando corpo ad unefficace Agenzia Nazionale per lInnovazione (Ani), sulla base di quela creata in Francia con capitale a metà pubblico ed a metà privato e concentrata su dieci grandi progetti specifici. LAni francese si ricorderà è frutto del Rapport Beffa, dal nome dellindustriale che coordinò il pertinente gruppo di lavoro ; vi si accompagnava la proposta di unanaloga Agenzia a livello europeo a cui né la Commissione allora guidata da Romano Prodi né il Consiglio dei Ministri della Competitività ha mai dato risposta. Alcuni industriali italiani le cui imprese hanno operazioni Oltralpe ed Oltreatlantico dicono che lAni francese sta svolgendo una doppia funzione molto utile: attira ed indirizza risorse private ed evita diffusione di risorse pubbliche a pioggia. Dato che sia dicastero per lo sviluppo sia Cipe hanno in passato voluto dire tanti rivoli quanti le fontane di Villa dEste a Tivoli è urgente mostrare che ci si è messi su una strada nuova.
In Italia siano alle prese con un vero e proprio paradosso. UnAni italiana è stata istituita nellultima scorcio della scorsa legislatura. Il 12 maggio lallora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha anche firmato il decreto per localizzarne la sede nel Palazzo dellInnovazione della Camera di Commercio di Milano. Tuttavia, non è stato stanziato neanche un solo euro per il suo funzionamento; rischia, quindi, di restare sulla carta. Mentre potrebbe incidere non poco sulla struttura produttivamente. Certamente più di tante chiacchiere e di tante riorganizzazioni delle strutture burocratico-amministrative dei Ministeri.
All’industria serve un’Agenzia
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