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Alitalia, poche ore per un sussulto di responsabilità

L’assurdo di questa vicenda Alitalia è che mentre la compagnia sta picchiando a terra verso il fallimento con i suoi 20 mila dipendenti, a pochi metri dal crash, a bordo si discute di nuove proposte, diverse modalità di vendita, recriminazioni sulle colpe.
Ed allora, anche a costo di far da stecca al coro, in questi pochi scampoli di vita che restano, varrebbe forse la pena di lanciare un ultimo Sms, nella speranza che qualcuno assennato lo raccolga e, come nel fortunato film Airport 77, riesca a salvare il salvabile.
Se, come è assai probabile, alle cause storiche del disastro di Alitalia si è aggiunta negli ultimi giorni l’aggravante della politicizzazione, che tutto ha incarognito e reso impossibile, è da qui che forse occorre ripartire, nella speranza che un ritorno al senso di responsabilità di tutti gli attori consenta di depoliticizzare la vicenda e portarla nell’aeorovia della ragionevolezza.
Cosa chiede la ragionevolezza, espressa dalla maggioranza delle opinioni degli italiani? Che la compagnia di bandiera resti in mani italiane, che sia ben gestita e profittevole, che elimini tutte quelle interferenze interne ed esterne colpevoli del disastro industriale e finanziario.
Del resto la politicizzazione di una soluzione, che doveva e dovrebbe essere principalmente industriale, ha prodotto fin qui solo assurdità: i piloti che pur di aver ragione fanno intendere che se li stressiamo cadono gli aerei; la Cgil che si schiera al fianco dei piloti, le sinistre che reclamano oggi, un’asta che c’è già stata all’inizio dell’anno ed è fallita quando a governarla erano proprio loro. Assurdità. Ricordiamo dunque almeno 4 verità che la politicizzazione ha fin qui offuscato:
1. Per esempio, che la proposta di acquisto avanzata dalla cordata Cai è stata ritirata per il no dei piloti dell’Anpac e dei sindacalisti della Cgil. Veltroni, per favore, smetta di accusare il Governo per colpe che non ha.
2. La cordata di imprenditori della Cai , messa in piedi da Passera e guidata da Colaninno, è composta da molti imprenditori di simpatie “democratiche”; Bersani, per favore, smetta di dire che sono amici di Berlusconi.
3. Con la proposta Cai i piloti manterrebbero i loro guadagni volando, come chiedono, di più e quelli in esubero avrebbero 7 anni di tempo (e di stipendio) pagati da tutti noi per trovarsi un altro lavoro o magari essere riassunti da un’Alitalia risanata; smettano , per favore, di dire che sono stati trattati come le Colf.
4. La Cgil, con le sue due lettere, una favorevole all’accordo l’altra contraria, inviate lo stesso giorno allo stesso capocordata Colaninno, ha oggettivamente giocato una doppia parte in commedia che ne ha distrutto la credibilità ed ha condotto al punto in cui siamo, cioè ad un passo dal fallimento. Epifani, per favore, torni ad avere una faccia ed una parola sola, chiami al telefono non Berlusconi, che non è il presidente della Cai , ma Colaninno e gli dica “ vediamoci e firmiamo”; tolga cioè dalle mani della politica, di sinistra come di destra , la cloche del negoziato e lo riporti lì dove i suoi iscritti vogliono, al tavolo in cui forse ancora per qualche ora c’è la possibilità di salvare 20 mila stipendi e posti di lavoro.
L’alternativa? Non è solo il fallimento della compagnia ma, e qui Epifani ha ragione, qualcosa di molto più rilevante dal suo punto di vista grave.
La politicizzazione avvenuta negli ultimi 20 giorni ha fatto assumere alla vicenda la dimensione simbolica di scontro politico e di occasione di riforma strutturale delle relazioni industriali in Italia e, dopo il no della Cgil, ora c’è davvero chi vorrebbe trasformarla nella resa dei conti con la Casta del sindacato, con i suoi riti, il suo potere di interdizione più che di rappresentanza, sull’onda emotiva di ciò che la Thatcher fece in Gran Bretagna vent’anni fa, quando piegò la protesta dei minatori, segnando l’inizio della rinascita inglese.
Noi restiamo dell’idea che il sindacato non è solo la Cgil e, nonostante tutto, che puntare alla cancellazione del sindacato sarebbe un errore ed un danno per il Paese. Ma ridefinirne il ruolo, aiutarlo ad evolvere verso la modernizzazione del suo rapporto con la società, verso la responsabilità, verso l’autonomia, serve a salvarlo. Epifani è ancora in tempo, accetti l’accordo quadro senza riserve e torni all’affidabilità mostrata con le altre confederazioni. Viceversa potrà, proprio lui, scatenare quel thatcherismo che vorrebbe scongiurare e sarebbe il becchino di se stesso e del sindacato.

Fonte: 24 settembre 2008

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