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Alitalia e Ferrovie prove di accordo. Sabelli:ecco il piano

Ferrovie e Alitalia, cani e gatti fino a ieri. Poi la componente felina ha preso il sopravvento, passi felpati da tutte e due le parti, avvicinamenti silenziosi, scambi di idee. Forse una ipotesi di lavoro: creare sinergie tra i due grandi gruppi nazionali del trasporto. Pare che nei mesi scorsi l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato ne abbia parlato con Gianni Letta, allora ancora sottosegretario potentissimo alla Presidenza del consiglio, e con il segretario del Pd Pierluigi Bersani.
L’ipotesi è ardita, non c’è al mondo un caso del genere, salvo l’esperienza di Branson, l’immaginifico imprenditore inglese che ha creato il gruppo Virgin, che possiede treni e aerei (tra le altre cose) ma che non gestisce i due settori in modo integrato. In realtà un punto in comune c’è: i clienti, in generale la gente che viaggia, in particolare coloro che utilizzano l’alta velocità. In tutti i paesi dove esiste, nelle tratte di maggior pregio che collegano in genere la capitale con la seconda città principale Parigi con Lione, Madrid con Barcellona, Roma con Milano l’alta velocità è diventato il concorrente numero uno delle compagnie e in particolare degli ex (o ancora) monopolisti che su quelle tratte lucravano ricchi fatturati e utili.
In effetti l’alta velocità in Italia ha cambiato geografia, abitudini e comportamenti. Sull’asse che da Napoli raggiunge Milano e Torino è entrata in competizione con l’Alitalia sottraendole quote rilevanti di traffico. Tra Roma e Milano, a causa dell’alta velocità, ma anche della concorrenza di Easyjet e da Orio al Serio di Ryanair, i passeggeri di Alitalia sono passati da tre milioni a due milioni l’anno. Alitalia ha recuperato i numeri su altre tratte, valorizzando il gapnord sud che l’alta velocità non copre, modificando la struttura delle sue rotte e della sua offerta, ma resta il fatto che i tempi del treno diminuiscono e quelli dell’aereo sono meno strizzabili. Gli sforzi fatti in aeroporto, gli ingressi dedicati, gli arrivi (quasi) sempre al finger, hanno rubato una manciata di minuti e molto di più non si può fare. Il problema insormontabile resta il collegamento con il centro città, che è il nodo dolente di tutta la questione.
I treni invece corrono sempre di più, alla fine del 2012 dovrebbe essere sciolto il nodo di Bologna e un paio di anni dopo anche quello di Firenze, il che vuol dire tra 20 e 30 minuti in meno non solo per chi da Napoli e Roma va a Milano, ma anche a Torino, Verona, Venezia.
Ma il cambiamento è più profondo. L’alta velocità sta cambiando la mentalità delle Ferrovie, che cominciano a prendere dalle compagnie aeree modelli di business e di servizio. La settimana scorsa Moretti ha annunciato una nuova segmentazione dell’offerta sull’alta velocità in termini di servizio e di arredo dei vagoni, che saranno ridisegnati con quattro tipologie, accompagnata ciascuna da un particolare tipo di servizio e da una gamma di prezzi. Il “revenue management”, ovvero la gestione sofisticata del sistema dei prezzi (che fa impazzire i viaggiatori alla ricerca delle offerte migliori), che è nella cultura tipica dei vettori aerei sta ridisegnando sempre più anche l’offerta ferroviaria.
E poi ci sono i clienti, che sono diventati gli stessi. Il prezzo del treno ormai somiglia sempre più a quello dell’aereo, spesso lo supera, così come sono sempre più sovrapponibili i tempi ed i servizi. Deve essere stato tutto ciò a far pensare a Moretti che forse in futuro si potrebbe tentare un passo ulteriore. Sviluppare sinergie.
Qualcun altro ha cominciato a immaginare anche una ipotesi più avanzata: mettere insieme il cane con il gatto, le Ferrovie con l’Alitalia. Ipotesi di scuola, ma un pensiero che qualcuno sta coltivando tenendo conto di una serie di fattori. Il primo dei quali è il fatto che Alitalia è controllata da un gruppo disparato di azionisti il maggiore dei quali è Air France Klm, che di Alitalia ha il 25 per cento e che della compagnia italiana è il partner industriale. Gli azionisti sono bloccati da un lock up delle loro quote che scade all’inizio del 2013, e non è detto che siano tutti disponibili a rimanere in un business difficile e incerto come quello del volo. Quello che si mormora anzi è che i più aspettino solo il via libera per uscirne, sperando di recuperare almeno l’investimento.
Il pensiero dominante è sempre stato che Air France tenuta fuori dalla finestra (anche se con un robusto piede dentro) da Silvio Berlusconi quando appena succeduto a Prodi a Palazzo Chigi aveva bloccato la trattativa con i francesi e favorito la cordata italiana, sia pure con un costo miliardario per i contribuenti alla fine del lock up sarebbe rientrata dalla porta, passando da una partecipazione di minoranza al controllo totalitario rilevando le quote degli altri soci. Ma nelle ultime settimane questa certezza ha cominciato a vacillare vistosamente. I tempi sono duri anche a Parigi e Air France non è più florida come era tre anni fa. E poi c’è sempre quella bandiera tricolore che di volta in volta viene sbandierata quando si tratta dei cosiddetti campioni nazionali.
Resta il fatto che, almeno in teoria, nel 2013 potrebbe aprirsi una fase nuova per l’assetto proprietario di Alitalia, con annessi problemi, e quindi uno spazio per chi volesse farsi avanti.
Volendo fare un po’ di dietrologia, si può aggiungere che Moretti soffre non poco la parte ‘non di mercato’ del suo impero, ovvero il trasporto regionale i cui costi sono coperti tra il 60 e l’80 per cento dalle regioni, la cui incapacità di assicurare per congrui periodi di tempo i trasferimenti, rende impossibile pianificare gli investimenti. Da gestire quindi resta un materiale sempre più obsoleto e la rabbia dei pendolari. Non molto diversa è la situazione dei treni a lunga percorrenza fuori dal circuito Eurostar, anch’essi sussidiati perché non in grado con le tariffe attuali di coprire i costi. Anche qui il problema è lo stesso che per il trasporto locale, è lo stato in questo caso a non essere in grado di assicurare impegni di finanziamento a medio e lungo termine, senza i quali è difficile investire e migliorare il servizio.
Le soddisfazioni per contro vengono tutte dall’area ‘a mercato’, il segmento Eurostar e l’Alta Velocità, che riesce a ripagare costi e investimenti e offre significative prospettive di crescita. E’ l’area dove un manager grintoso come Moretti sta giocando le sue carte migliori, e sulla quale punta per il futuro. Un futuro nel quale magari avvicinare in qualche modo una privatizzata parte Eurostar delle Ferrovie dello Stato e la già privata Alitalia, potrebbe aprire nuove sfide.
In realtà, e ne sono tutti consapevoli, al momento da mettere insieme c’è ben poco. «Le possibili sinergie nella situazione attuale sono marginali dice Oliviero Baccelli, vice direttore del Certet Bocconi e studioso del settore solo Malpensa è collegata con il sistema Eurostar, peraltro con pochi Eurostar e con poca Alitalia. L’alta velocità non tocca nessun aeroporto ed è difficile collegare in tempi brevi quelli chiave, ovvero Roma, Pisa, Venezia, Bologna, Torino. E’ una delle grandi differenze con le infrastrutture del nord Europa, con Schipol che non è solo l’hub di Klm ma lo snodo di molte linee ferroviarie, Parigi Charles de Gaulle che consente ad Air France un collegamento con l’Sncf e Francoforte alla Lufthansa con la Deutschebahn. Anche lì tuttavia, dove l’intermodalità è una realtà, l’integrazione tra compagnie aeree e ferroviarie non va molto oltre l’emissione di biglietti unici».
In Italia l’intermodalità è un sogno che non ha nulla di reale, e quel che resta ad Alitalia e Ferrovie, almeno nel breve e medio periodo, è una contaminazione di culture, soprattutto nel marketing e nel servizio, qualche iniziativa sui biglietti, una maggiore collaborazione là dove e i posti sono davvero pochi c’è un binario che collega il terminal al centro della città.
Il resto, se ci si deciderà a farlo e si troveranno le risorse, è tutto da costruire. Con italici tempi. Mentre il 2013 è già domani.

Fonte: Affari e Finanza del 27 novembre 2011

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