• domenica , 8 Settembre 2024

Aiutiamo le famiglie a curare i bimbi disabili

Stanno venendo meno, anche in campo sanitario, le leggi e le misure di protezione delle patologie più gravi, alcune contradditorie e spenderecce ma nell’assieme tali da costituire una barriera difensiva a favore dei gruppi più deboli e indifesi. Del resto è un discorso ormai valido in ogni campo. Al disgregarsi progressivo della filosofia complessiva del Welfare che, pur subendo l’impatto dell’eccesso di spesa pubblica, lasciava uno zoccolo ideale, sia pure frantumato , per mantenerei pilastri di un diritto dei lavoratori come detentori di valori generali (di lavoratore, cittadino, studente, malato, disoccupato, ecc.) è subentrata la “spending review” non come metodo per diminuire tutte le spese,a comincire da quelle pubbliche, ma per tagliarle in via prioritaria, cancellando dalla loro rivendicazione ogni dignità valoriale.
Qualche reazione comincia a farsi sentire, non per pretestuose manovre di opposizione al governo Monti ma per riappropriarsi di un diritto di controproposta e di azione. La gravità, ad esempio, delle forme degenerative nella salute mentale dei minori sta sollecitando misure di riforma in grado di affrontarle. In Italia le famiglie con un figlio (da 0 a 18 anni) che deve essere seguito per un problema neuropsichiatrico sono oltre 800mila. Le cure durano in media dai 3 ai 5 anni. I disturbi sono molto diversi: dai piccoli ritardi ai gravi squilibri dello sviluppo intellettivo, dal blocco dell’apprendimento all’autismo, dalla depressione alle crisi d’ansia, dalla goffagine motoria all’iperattività. Un grave errore di approccio è di suddividere schematicamente diagnosi e cure. Per esempio molti bambini hanno più di un problema, leggono male: (dislessia?); sono disattenti: (sindrome: Adhd); si avviliscono facilmente: (depressione?). L’intervento settoriale rischia di far percepire un solo problema e che si ignorino gli altri, spesso aggravandoli. Solo studiando la prospettiva nel suo assieme siamo in grado di affrontare le situazioni nella loro realtà, si migliora l’intervento e si risparmiano mezzi.
Negli ultimi anni il problema si è inceppato. Il punto più drammatico è questo: 10 anni fa il rapporto fra numero di diagnosi fatte e il numero di cure riabilitative proposte era di 1 a 6. Negli ultimi anni è sceso al di sotto di 1 a 3, per effetto del taglio dei soldi per la cura. Molti genitori sono costretti a dilazionare e diluire la terapia, rischiando di aggravare irreparabilmente le difficoltà. Inoltre molte esenzioni sanitarie vengono limitate ai 6 anni mentre dovrebbero arrivare almeno ai 12.
La contrazione della spesa per i servizi specialistici nella sanità scarica i problemi della salute mentale sui servizi sociali e sulla scuola. Oggi finalmente si comincia a percepire la natura dei tanti aspetti del diffuso disagio giovanile. Una folta rappresentanza di senatori di tutti i gruppi, ispirati dai sen. Bianconi, Adragna e Finocchiaro dopo accurate discussioni con i ministeri competenti, l’Istituto di Sanità, l’Istituto Bollea dell’Università di Roma, guidato dal prof. Gabriel Levi, hanno presentato al Parlamento una proposta costruttiva di Legge sulla salute mentale in età evolutiva che ha raccolto il consenso di tutte le forze politiche. I punti qualificanti sono: 1) Consolidare una rete di servizi autonomi (quindi non soggetti a pastoie burocratiche, amministrative, ecc) di Neuropsichiatria infantile su tutto il territorio nazionale: uno ogni 100mila bambini/ragazze da 0 a 18 anni. 2) Definire una politica integrata di interventi che colleghii progetti evitando gli approcci a francobollo per singole patologie che, quando sono separati costano molto e rendono poco. 3) Priorità agli interventi che possono prevenire la malattia mentale prima dei 13/14 anni. 4) Una relazione annuale sulla salute mentale in età evolutiva da presentare ad una competente Commissione parlamentare, per ottenere valutazioni, indirizzi ed indicazioni operative.
Non dimenticando che i disturbi incombono nell’età dello sviluppo e possono essere curati durante lo sviluppo.

Fonte: Repubblica del 23 luglio 2012

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