• venerdì , 22 Novembre 2024

“Ai precari un assegno mensile”

Per far ripartire i consumi non serve a niente ridurre le tasse. Molto meglio garantire un reddito a quanti hanno perso il lavoro e non hanno ammortizzatori sociali.La proposta di un confindustriale anomalo.
Il Governo vuol dare una “frustata” alla nostra economia per farla ripartire. Questa è la richiesta della Lega e di molti che credono così di recuperare un po’ di consenso popolare dopo due sconfitte elettorali. La frustata consisterebbe essenzialmente in un abbassamento delle tasse, per soddisfare i contribuenti inferociti, per rilanciare i consumi che languono, per ridurre l’invadenza dello Stato. Ma, dopo una simile frustata, il cavallo dell’economia italiana riprenderà a correre o si abbatterà al suolo?
L’Italia non cresce da anni e la causa non è l’eccesso di tasse. Altri paesi hanno tasse elevate quanto le nostre eppure crescono di più. Nel breve termine la riduzione delle tasse ha poco impatto sui consumi. Infatti si possono ridurre le tasse solo su chi ha del reddito, mentre il calo dei consumi è imputabile soprattutto a quanti hanno perso il lavoro o non lo trovano. In queste condizioni una riduzione delle tasse, anche se mirata sui bassi redditi, rischia di tradursi in un aumento della propensione al risparmio da parte di famiglie che hanno paura del loro futuro e hanno già ridotto all’osso i loro consumi. Può sembrare paradossale, ma nel 2010 è aumentato il numero delle famiglie che hanno risparmiato, mentre è sceso il tasso di risparmio complessivo. Si tratta di piccoli risparmi fatti da famiglie che hanno visto ridursi i loro redditi e hanno paura del futuro. Queste famiglie, se avranno qualche euro in più, continueranno a risparmiare per proteggersi da eventi futuri.
Se invece si volesse far crescere i consumi, sarebbe meglio agire sulla spesa pubblica, dando un assegno mensile a quanti hanno perso il lavoro e non hanno ammortizzatori sociali. E’ tutto il popolo dei lavoratori a termine (i precari). Per essi sono state messe alcune provvidenze (la cassa integrazione in deroga) che non hanno affatto inciso, sia per lo scarso ammontare sia per le tortuose modalità di assegnazione.
E’ difficile far correre il cavallo.Tanto più che questo cavallo sembra piuttosto un ronzino dalle scarse capacità sportive: per l’Ocse la crescita potenziale della nostra economia è ormai solo allo 0,5 per cento annuo tra il 2010 e il 2015. E di questo sembra conscio lo stesso ministro dell’Economia che ha indicato obiettivi inferiori a quelli suggeriti dall’Unione europea.
Si può immaginare, come ha fatto l’Assonime e come ha detto il suo presidente Abete su questo giornale, una riduzione delle imposte dirette finanziata con un aumento dell’Iva, con una leggera patrimoniale e con un riequilibrio della tassazione delle rendite finanziarie. Sarebbe una manovra giusta. Ma per queste riforme servono gradualità e profondo studio. Esse non possono essere approntate solo per rilanciare nel breve l’economia o per recuperare qualche voto.
In effetti, la scarsa crescita della nostra economia è imputabile a molti fattori e richiederà del tempo per essere contrastata. La nostra industria si sta adattando alla competizione internazionale. Ma la base industriale resta limitata (20 per cento del Pil). Sono i servizi che stanno accusando ritardi. In particolare quelli chiusi alla concorrenza internazionale. Questi ultimi hanno costi elevati ed efficienza scarsa. Generano poca occupazione e drenano capacità di spesa delle famiglie e quote rilevanti della spesa pubblica. Per modernizzare questo settore non ci vogliono le frustate fiscali. Ci vuole pazienza e capacità di ascolto per arrivare a riforme accettate, almeno in parte, dagli stessi operatori. E questo per evitare che le riforme si trasformino in fallimenti e in disagi per la gente.
Sciogliere i nodi non è impossibile. L’abbiamo già fatto, per esempio, con le manovre della prima metà degli anni Novanta, che hanno portato alla privatizzazione delle imprese pubbliche, all’abolizione della scala mobile dei salari, alla costruzione di un nuovo sistema di relazioni industriali, alla riforma delle pensioni, fino all’ingresso nell’euro attraverso manovre fiscali coraggiose e strutturali. In quegli anni, il cavallo dell’economia italiana è stato cambiato in modo strutturale e il cavaliere in sella aveva saputo guidare verso nuovi traguardi. Anche questa volta, se si vuole riprendere la via della crescita, non basta una frustata, ma si deve cambiare cavallo e cavaliere.

Fonte: Espresso del 5 luglio 2011

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