• domenica , 22 Dicembre 2024

Agenda Monti l’ultima chance

Il Governo Monti ha avuto la fiducia del Parlamento su un programma di ragionevolezza, non lacrime e sangue; ma per sentire un tale programma, ancora una volta l’Italia ha dovuto avvicinarsi pericolosamente al precipizio dell’insolvenza sul suo debito pubblico, farsi commissariare dalla Commissione europea e dalla BCE e, non meno significativo, veder nascere un governo dove i partiti politici sono assenti. Come negli anni settanta e nei primi anni novanta. La causa è sempre la stessa: un sistema politicoistituzionale sclerotico e frammentato non dice la verità agli italiani e vivacchia procrastinando i problemi, negandoli ogni volta fino al limite di rottura. Ma prospera, con bypartisan protervia, nell’occupazione vorace di posti e l’elargizione di protezioni e sussidi che bloccano l’economia.
Spero il contrario, ma temo che il tempo a disposizione del professor Monti non sia moltissimo. Temo che solo il senso acuto dell’emergenza manterrà compatto un fronte parlamentare nel quale i maggiori partiti non condividono aspetti centrali del programma: sul mercato del lavoro, le pensioni, l’imposta patrimoniale. Il maggior sindacato è già pronto alle barricate su misure che sono essenziali e non più rinviabili. La prima conseguenza è che il passo dovrà essere veloce, come negli ultimi provvedimenti del governo Berlusconi: con la presentazione a tamburo battente delle misure per l’economia in blocchi integrati, seguendo le indicazioni delle istituzioni che ci sorvegliano, non negando, ma riducendo all’essenziale il negoziato politico. Se sarà possibile alzare il tiro su obiettivi più ampi, quali la riforma del sistema elettorale o delle istituzioni, si vedrà dopo; su questo però la cogenza europea e dei mercati è inferiore e il consenso parlamentare pare una chimera.
Nelle misure per l’economia, le priorità restano il mercato del lavoro, gli aggiustamenti nel welfare, il taglio della spesa pubblica e l’apertura delle reti (energia, telecom, trasporti), L’abilità sarà di identificare quegli scambi tra gli interessi organizzati che possono facilitare i provvedimenti: ad esempio, l’aumento delle imposte deve davvero corrispondere al taglio delle spese correnti, smettendo di massacrare gli investimenti pubblici. L’introduzione di un’imposta patrimoniale (annuale e ordinaria), che non si può evitare per ragioni elementari di equità, e un possibile nuovo aumento dell’Iva (soprattutto nelle aliquote ridotte) dovrebbero in parte significativa servire alla riduzione delle imposte sul lavoro e l’impresa. L’aumento dell’età pensionabile va legato all’istituzione di un sistema generalizzato di sostegno alla disoccupazione, con politiche attive del lavoro. L’unificazione del mercato del lavoro, non più rinviabile, va accompagnata da forti sostegni al reinserimento al lavoro di inoccupati lowskill, giovani e donne, soprattutto nel Mezzogiorno (come è annunciato). In tal modo, le parti in campo vedranno insieme i benefici e i costi degli interventi, forse faticheranno di meno a convincere le loro riluttanti constituencies.
Aiuterebbe a precisare l’ambito dei compiti urgenti e sostenere l’azione del governo l’apertura formale per l’Italia di procedure europee sul rientro del debito pubblico (excessive deficit procedure) e gli squilibri economici sottostanti (la nuova procedura legale sugli excessive imbalances), per le quali sussistono tutti i requisiti previsti; su questo la Commissione è inadempiente. In tal modo si formalizzerebbe, legittimandola, l’attività di sorveglianza delle istituzioni europee, ora di incerta base giuridica (non può essere tale il sostegno della Bce ai nostri titoli pubblici) e altrettanto incerti confini; si darebbe anche trasparenza ai nostri impegni europei di riduzione del debito pubblico e apertura dell’economia alla concorrenza nei confronti non solo del Parlamento e dei partiti, ma dell’opinione pubblica. Sarebbe anche il modo giusto per ristabilire la nostra dignità davanti al Consiglio, la Commissione e la Bce, specialmente rispetto a certi eccessi d’interferenza francotedeschi.
Un aspetto al quale il nuovo governo dovrà prestare urgente attenzione riguarda il rapido deterioramento nelle condizioni del credito all’economia: incombe il rischio di una restrizione severa che potrebbe gettare l’economia in profonda recessione. In sostanza, i mercati dei mutui e dei crediti a termine si stanno chiudendo, per le difficoltà crescenti delle banche nel funding.
Le cause non sono interamente sotto il nostro controllo, poiché dipendono dall’estendersi al sistema bancario della crisi di fiducia che ha investito i debitori sovrani. Oltre a usare la sua ritrovata credibilità per spingere l’Europa ad adottare misure collettive di stabilizzazione finanziaria finalmente adeguate, il governo italiano ha qualche carta da giocare da solo. Vi sono due strumenti, preferibilmente da attivare insieme, che possono funzionare.
Il primo è la creazione di un’ampia rete precauzionale – con le risorse del Fmi e del Fondo salva stati europeo (Efsf)– intorno al mercato dei titoli pubblici italiani, come i leader del G20 ci avevano proposto poche settimane fa a Cannes. L’effetto positivo sulla fiducia, a frenare e forse invertire il processo di contagio tra debitori sovrani e sistema bancario, potrebbe essere forte, per noi e per l’Europa intera. Il secondo strumento è l’attivazione dell’Efsf per garantire le passività a medio e lungo termine delle nostre banche – secondo gli schemi già sperimentati con successo in molti paesi nel 2008 – riaprendo i canali del funding bancario. Ovviamente, se queste cose s’hanno da fare, vanno fatte in fretta.

Fonte: Affari e Finanza del 21 novembre 2011

Articoli dell'autore

Commenti disabilitati.