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A rischio la fragile ripresa economica. Ma c’è chi spera nell’ “effetto kobe”

Come nel ‘ 95 il sisma potrebbe trasformarsi in uno stimolo positivo.
«Quanto è durato il terremoto che avete avuto in California?». «Non è mai finito». Tra qualche tempo il dialogo tra due personaggi di un racconto di Robert Heinlein, uno dei maggiori scrittori americani di fantascienza del Novecento, potrebbe essere rispolverato per descrivere lo stato d’ animo di un Giappone colpito da uno «shock» psicologico e, forse, anche economico. Chi «vede nero» per il futuro dell’ economia mondiale, aggiunge il sisma nipponico a una catena di altri fattori (dalle rivolte nel mondo arabo con le loro implicazioni petrolifere alle crisi del debito pubblico in Europa e negli Usa) che rischiano di «uccidere nella culla» la fragile ripresa del 2010. È la tesi di «Mr Doom» Nouriel Roubini per il quale il Terremoto «è l’ evento peggiore nel momento peggiore». Fabbriche di auto Toyota, Nissan e Honda bloccate, gli impianti chimici della zona, dalla Glaxo alla Asahi, costretti a sospendere la produzione. E poi le catene logistiche spezzate, i porti fermi, l’ export bloccato. Effettuate alcune verifiche e riparazioni minori, gli impianti industriali dovrebbero essere riattivati abbastanza presto, mentre il problema dei porti rischia di essere più serio: lunedì, dopo le ispezioni, gli scali potrebbero anche essere riaperti, ma molti moli saranno presto occupati dal traffico delle navi di soccorso e da quelle che porteranno i materiali necessari per ricostruire. Venerdì, comunque, i mercati non si sono fatti prendere dal panico: ribassi contenuti mentre tra gli operatori non sembrava prevalere il pessimismo. Vedremo cosa accadrà domani alla riapertura. Come sempre, intanto, gli economisti su dividono: la tesi dei pessimisti viene contestata da chi nota che un sisma precedente ugualmente distruttivo – quello di Kobe del 1995 – non solo non depresse l’ economia, ma addirittura si trasformò in uno stimolo. Dopo pochi giorni di flessione, la Borsa si riprese, mentre l’ afflusso di capitali per la ricostruzione fece addirittura rivalutare lo yen. Potrebbe succedere anche stavolta, dice chi cerca di intravvedere una metà piena del bicchiere anche in un frangente così drammatico. In fondo l’ area colpita non è tra le più densamente popolate del Paese: più risaie che fabbriche. Dalla regione di Sendai arriva solo il 2 per cento del Pil giapponese. E la necessità di ricostruire obbligherà il Giappone a dirottare una parte del suo «surplus» commerciale verso un programma di investimenti domestici in infrastrutture: la classica ricetta degli economisti per i Paesi con un’ economia ristagnante. Le cose andranno davvero così? È presto per azzardare una previsione: non ci sono calcoli attendibili del danno economico (centinaia di miliardi di dollari, 50 dei quali dovrebbero essere rimborsati dalle assicurazioni), e non conosciamo ancora nemmeno la reale dimensione umana del disastro, importante anche per chi ragiona sull’ economia. Bisogna infatti capire se questa tragedia inciderà sulla psicologia dei giapponesi, se paura e sconforto indeboliranno la loro voglia di ricominciare. Ovviamente, poi, va appurata la gravità dell’ incidente nucleare: una fuga di radioattività limitata per evitare guai peggiori o un problema più grosso che può portare a una riduzione della produzione elettrica e, magari, anche a una riconsiderazione delle politiche energetiche del Paese? In ogni caso, se i tecnici riprenderanno il controllo del reattore di Fukushima, si potrà forse ipotizzare che il devastante terremoto di Sendai, pur coi suoi enormi costi umani e materiali, non sia destinato ad avere un impatto enorme sull’ economia mondiale né su quella giapponese. Non enorme, ma comunque significativo: il confronto con Kobe, infatti, regge fino a un certo punto. Lì l’ epicentro del sisma fu a 12 miglia da una città densamente industrializzata, è vero. I danni raggiunsero i 100 miliardi di dollari, la ricostruzione fu completata in 7 anni e il Paese non sperimentò la temuta battuta d’ arresto. Allora, però, il recupero dello yen fu favorito, più che dal finanziamento del dopo-terremoto, dall’ afflusso dei capitali dovuto al crollo della banca Baring, avvenuto proprio in quelle settimane a Londra. A Sendai, poi, la densità degli impianti è minore ma l’ area colpita è più vasta, data la maggior potenza del sisma. E, soprattutto, dopo anni di stagnazione, nel 2010 il Giappone aveva ripreso a crescere a buon ritmo, sia pure con una battuta d’ arresto nell’ ultimo trimestre. Si pensava a una pausa momentanea, ma adesso rialzare la testa sarà un po’ più difficile.

Fonte: Corriere della Sera del 13 marzo 2011

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