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A piccoli passi

La riunione informale del Consiglio europeo ha visto qualche ulteriore passo avanti negli aggiustamenti ai meccanismi di governo economico dell’Unione e dell’Eurozona. E per fortuna anche qualche passo indietro, con il pareggio di bilancio che basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito. Non c’è ancora una soluzione per correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell’euro. Ma almeno, dopo aver accontentato la Germania sulle regole di bilancio, l’agenda si allarga alle questioni della stabilità finanziaria e della crescita.
Sul cosiddetto fiscal compact previsto dal nuovo Trattato, l’unica vera novità è l’impegno dei firmatari di trascrivere nelle costituzioni o leggi fondamentali la doppia regola del pareggio di bilancio e dell’obbligo della riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il Pil fino al 60 per cento. L’obbligo si estende all’introduzione di un meccanismo automatico di correzione delle deviazioni rispetto agli impegni. I firmatari hanno anche convenuto di assoggettare alla giurisdizione della Corte europea di giustizia eventuali controversie legali sull’applicazione del Trattato: ciò riguarda pertanto solo i modi della trasposizione delle nuove regole nelle costituzioni nazionali, non le controversie sul rispetto nel merito dei vincoli alle politiche di bilancio nazionali.
Il nuovo Trattato verrà sottoscritto almeno da otto paesi che oggi non partecipano all’euro e che, in cambio, hanno ottenuto di partecipare almeno una volta l’anno agli Eurosummit; l’Eurozona si conferma dunque come il fulcro degli sforzi di coordinamento delle politiche economiche, nonostante i costi elevati del mancato coordinamento nel passato.
L’utile passo indietro – credo dovuto in misura importante all’autorevole intervento del premier italiano – è che il nuovo Trattato non modifica in alcun modo gli impegni di sostanza nella conduzione delle politiche economiche nazionali, come è reso esplicito dall’articolo 2 e dal riferimento, negli articoli 3 e 4, alle vigenti regole del Patto di stabilità e crescita (Regolamento 1466/97 del Consiglio come modificato dal Regolamento 1177/2011) per la definizione degli obblighi sul bilancio in pareggio e la riduzione del debito pubblico (anche la regola del ventesimo c’era già, vedere per credere). Vale la pena di sottolineare, a questo riguardo, che – come dimostrato da Giuseppe Pisauro nei suoi articoli su lavoce.info – ai livelli correnti del rapporto tra il debito e il Pil, la regola del bilancio in pareggio “domina” quella della riduzione del debito se la crescita nominale del Pil è superiore al 2,5 per cento; se non lo fosse, probabilmente si potrebbe invocare la clausola sulle ‘circostanze eccezionali’ per sospenderne l’applicazione. Dunque, chi parla di impegni addizionali di restrizione per 45 miliardi l’anno a causa della regole di riduzione del debito, visibilmente straparla. Il pareggio di bilancio basta e avanza a garantire il rientro dall’eccesso di debito.
L’Eurosummit ha anche confermato la decisione di anticipare al 1º luglio 2012 l’entrata in vigore del nuovo meccanismo di stabilizzazione finanziaria (European Stability Mechanism o Esm), indicando l’intenzione di rivedere in marzo l’adeguatezza delle risorse. Chi non aderisce al fiscal compact non avrà accesso ai suoi programmi di assistenza finanziaria. Dietro la formula sulla revisione delle risorse si nasconde la possibilità di fare confluire nel nuovo meccanismo anche le risorse dell’attuale meccanismo temporaneo di assistenza finanziaria (Efsf), portando il totale disponibile per l’assistenza finanziaria ai paesi membri a circa 750 miliardi. Premono in questa direzione anche gli Stati Uniti e, con loro, la comunità finanziaria internazionale, che hanno di fatto condizionato a questa decisione l’aumento delle risorse a disposizione del Fondo monetario a sostegno dei paesi indebitati. Il Consiglio europeo di dicembre aveva fatto sollevare molte perplesse sopracciglia quando aveva comunicato al mondo che i paesi europei erano pronti a mettere a disposizione dell’Fmi risorse ingenti per farsi salvare, ma non direttamente tra sé stessi.
Infine, la novità significativa – al di là del deludente documento del Consiglio – è che la crescita riacquista un posto nell’agenda delle misure anti-crisi; se ne parlerà, speriamo intensamente, nella riunione del Consiglio ai primi di marzo. Ormai, è chiaro a tutti che l’Europa rischia di avvitarsi in una spirale deflazionistica di austerità e insostenibilità dei debiti, che oggi è diventata la ragione principale del permanere degli spread su livelli ancora troppo elevati per l’Italia e per la Spagna (diverso è il caso del Portogallo, dove serviranno presto altre risorse esterne) e in generale dei dubbi sulla capacità di sopravvivenza dell’euro nel medio termine.
La questione centrale, che per ora la Germania rifiuta di discutere, è come si può fare – oltre a riaprire i canali privati di finanziamento del “Sud” da parte dei risparmiatori nel “Nord” – a iniziare a correggere gli enormi squilibri dei pagamenti correnti tra i paesi dell’euro. La zona euro è grosso modo in equilibrio nei pagamenti correnti verso le aree terze, ma registra al suo interno forti avanzi (Germania e Olanda, soprattutto) e disavanzi (Francia e periferia): l’idea che si possano eliminare i secondi senza un contributo dalla riduzione dei primi, scaricando l’onere dell’aggiustamento interamente sui paesi terzi, mi sembra poco realistica (oltre che poco desiderabile, perché l’Europa “sottrarrebbe” crescita all’economia mondiale). Di fatto, se la crescita della domanda interna non accelera in Germania, vi è il rischio che i paesi in disavanzo della zona euro debbano deprimere la domanda interna ancora di più.
Un contributo importante alla domanda interna dell’intera Eurozona può venire dall’accelerazione delle spese per investimento coperte con fondi comunitari e l’emissione di project bond. Ma finché i documenti ufficiali continueranno a parlare solo di “competitività” e di misure per l’occupazione dei giovani e il finanziamento delle Pmi – come fa il documento del Consiglio – allora vuol dire che siamo in alto mare. Sono misure utili, ma da sole non tireranno fuori l’Europa dal buco in cui collettivamente si è caccia

Fonte: LAVOCE.INFO del 1 febbraio 2012

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