• venerdì , 22 Novembre 2024

Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio
concernente le offerte pubbliche di acquisto
Elementi di orientamento

1. La direttiva sull’OPA europea rappresenta una delle priorità del Piano d’Azione per i Servizi finanziari, confermate dal Consiglio europeo di Lisbona (aprile 2000). L’obiettivo è di fornire un quadro comune di principi per le offerte pubbliche di acquisto transnazionali, volontarie e obbligatorie. Gli aspetti che occorre regolare sono lo svolgimento dell’offerta, la parità di trattamento degli azionisti e le informazioni da fornire al mercato. Un aspetto cruciale della nuova disciplina è costituito dalla norma che attribuisce agli azionisti, riuniti in assemblea, la decisione di resistere all’offerta attraverso appropriate misure difensive (la cosiddetta “regola di passività” degli amministratori). La proposta della Commissione è stata pubblicata l’anno scorso (COM(2002) 534 del 2 ottobre) ed è attualmente all’esame del Consiglio e del Parlamento europeo secondo le procedure accelerate per i servizi finanziari.

2. Una precedente proposta, concordata tra Consiglio e Parlamento in procedura di conciliazione nell’estate del 2001, non ottenne la maggioranza dei voti del Parlamento europeo. Le obiezioni del Parlamento riguardavano essenzialmente tre aspetti: il principio per cui eventuali misure difensive devono essere approvate dall’assemblea dei soci; l’insufficiente protezione accordata ai lavoratori delle imprese coinvolte; l’incapacità della proposta di assicurare regole comparabili a quelle degli Stati Uniti. Essa era stata anche criticata, sul piano tecnico, per la mancata definizione del prezzo “equo” dell’offerta obbligatoria e per non aver previsto le fattispecie di cessione obbligatoria (all’azionista che avesse raggiunto la quasi totalità del possesso delle azioni) e riscatto obbligatorio (da parte del nuovo azionista quasi totalitario, in analoghe circostanze).

3. La nuova proposta della Commissione conferma la regola della passività degli amministratori e l’obbligo di approvazione di ogni misura difensiva da parte dell’assemblea dei soci (art. 9), ma si differenzia dalla precedente nei seguenti elementi:
a. Vengono introdotti nuovi obblighi di trasparenza sulla struttura proprietaria e di governo societario, incluse eventuali restrizioni ai diritti di voto e al trasferimento dei titoli delle società quotate (art. 10); si impone anche all’assemblea degli azionisti di pronunciarsi ogni due anni “sugli aspetti strutturali e i meccanismi di difesa” (par. 3);

b. Si prevede la sospensione, in caso di OPA, delle restrizioni ai diritti di voto e al trasferimento delle azioni, previste dallo statuto o da accordi contrattuali (art. 11);
c. Gli obblighi di informazione dei lavoratori vengono rafforzati (art. 13) attraverso il riferimento alle direttive europee in materia (1994/45, 1998/59, 2002/14);
d. Si regolano il prezzo equo dell’offerta obbligatoria (art. 5) e i diritti di cessione obbligatoria (art. 14) e riscatto obbligatorio (art. 15);
e. La proposta originaria della Commissione prevedeva che gli Stati membri potessero consentire all’organo di amministrazione dell’emittente di emettere azioni nel periodo dell’offerta, previa approvazione dell’assemblea dei soci nei diciotto mesi precedenti l’offerta; questa previsione fu stralciata dal testo in sede di conciliazione, prima del voto finale del Parlamento.

4. Come si vede, il nuovo testo accoglie alcune delle obiezioni del Parlamento alla precedente proposta. Il rafforzamento della trasparenza risponde allo scopo di consentire al mercato di valutare correttamente le società meno contendibili; la sospensione delle restrizioni ai diritti di voto e al trasferimento sulle azioni in occasione dell’OPA ostile ne favorisce il successo. Queste norme intendono rispondere alle obiezioni di coloro che lamentavano l’esistenza di uno squilibrio concorrenziale nelle difese consentite dalla legge di fronte a un’OPA ostile. Infatti, mentre la regola di passività vincola in modo uniforme le azioni consentite agli amministratori, l’esistenza solo in alcuni paesi di restrizioni ai diritti di voto e alla trasferibilità delle azioni può offrire una protezione addizionale al management di certe imprese, e non di altre.

5. Il principio di lasciare la decisione agli azionisti viene in tale modo rafforzato. La Commissione è stata criticata per non aver accolto le proposte formulate dalla Commissione Winter, che prevedeva, in occasione di un’OPA che avesse ottenuto il 75 per cento del capitale di rischio, la sospensione dei diritti azionari di voto multiplo e l’attribuzione di un voto anche alle azioni senza voto. Restano escluse dalla direttiva anche altre barriere che possono separare la proprietà dal controllo. Gli esempi più rilevanti sono costituiti dalle strutture piramidali di controllo (“scatole cinesi”); le azioni senza diritto di voto che attribuiscono speciali vantaggi patrimoniali (tra cui le azioni di risparmio del diritto italiano); l’interposizione di un trust, titolare dei diritti di voto, tra gli azionisti e la società; l’emissione di obbligazioni convertibili e l’inserimento di connesse clausole sul cambiamento del controllo; le golden shares, che attribuiscono diritti speciali nella nomina di amministratori e nell’approvazione dell’ingresso di nuovi soci. La richiesta di affrontare con la direttiva i problemi posti da queste barriere è stata riproposta nel dibattito apertosi sulla nuova proposta della Commissione.

6. Tale richiesta presuppone che l’obiettivo della direttiva europea sia quello di accrescere la contendibilità e accelerare la circolazione del controllo delle società quotate sui mercati azionari dell’Unione, creando “uguali aspettative di successo” dell’OPA in tutti i paesi membri (level playing field). Tale tesi ha ricevuto articolata formulazione nel Rapporto Winter (capitolo I). Esso argomenta che i take-over creano ricchezza (i) sfruttando le sinergie tra l’offerente e la società target e le economie di scale della dimensione europea; (ii) consentendo agli azionisti di vendere le proprie azioni a un prezzo superiore a quello di mercato; (iii) orientando il management delle società quotate alla creazione di valore per gli azionisti. Inoltre, lo sviluppo ineguale dei mercati dei capitali nei paesi dell’Unione non consentirebbe di attribuire il valore corretto del capitale delle imprese non contendibili. Ne discende l’opportunità di una scelta di public policy tesa a promuovere i take-over come strumento di ristrutturazione delle società europee e di miglioramento dell’efficienza dei mercati dei capitali (cf. Rapporto Winter, pag. 23). Pertanto, anche se non tutte tali barriere possono essere eliminate, si argomenta che sarebbe opportuno, in occasione dell’OPA, sospendere i diritti speciali del possesso azionario e applicare un principio generale di proporzionalità tra possesso del capitale e diritti di voto (break-through rule). Va sottolineato, tuttavia, che in tal modo si squilibra il sistema delle regole a favore degli offerenti.

7. Sul piano economico, quest’impostazione appare criticabile, principalmente per due ragioni. In primo luogo, l’evidenza empirica non offre sostegno alla tesi secondo cui la contendibilità del controllo migliora il valore delle imprese, favorendone l’acquisto da parte di soggetti più capaci e disciplinando i comportamenti del management. Le decisioni di acquisizione soffrono degli stessi problemi di incentivi perversi che caratterizzano tutte le decisioni aziendali; l’esperienza recente indica in molti casi elevate distruzioni di valore a seguito di take-over ostili. In secondo luogo, il mercato è in grado di valutare la qualità dei meccanismi di governo societario, che rientrano nei fattori di determinazione del prezzo delle azioni; la modifica dei diritti derivanti dalle azioni comporta un trasferimento di ricchezza tra classi di investitori, difficile da giustificare e ancor più difficile da valutare con precisione ai fini di eventuali compensazioni.

8. Sul piano giuridico, la prima questione da decidere riguarda gli obiettivi della normativa comune sull’OPA. Sia nella proposta di direttiva caduta in Parlamento nel 2001, sia nella nuova proposta della Commissione, lo scopo della direttiva è quello di “istituire un quadro che fissi alcuni principi comuni e un numero limitato di requisiti generali” (considerando 23) per lo svolgimento delle offerte pubbliche di acquisto, la trasparenza e la protezione degli azionisti di minoranza. La base legale è costituita dall’art. 44 del Trattato CE, il quale prevede che il Consiglio possa deliberare mediante direttive per realizzare la libertà di stabilimento (par. 1), “coordinando nella necessaria misura, e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste negli stati membri alle società … per proteggere gli interessi tanto dei soci quanto dei terzi” (par. 2 lettera g). La libertà di stabilimento, a sua volta, comporta “…la costituzione e la gestione di … società, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti di propri cittadini” (art. 43 par. 2). Dunque, la tutela della libertà di stabilimento non richiede regole di governo societario uniformi, ma solo una piattaforma di garanzie minime a tutela degli azionisti e dei terzi, unita all’applicazione del principio di trattamento nazionale.

9. Coerentemente con quest’impostazione, la proposta di direttiva prevede il principio secondo cui la decisione sull’offerta deve essere lasciata agli azionisti, con connessa regola di passività degli amministratori durante il periodo d’offerta (art. 9); l’obbligo di lanciare un’offerta totalitaria a carico di chi, per effetto di acquisti di titoli o acquisizioni, abbia assunto il controllo di una società quotata in borsa e ne fissa il prezzo “equo” (art. 5), ma lascia agli stati membri la definizione della nozione di controllo; gli obblighi di informazione sull’offerta alla società bersaglio e al mercato (art. 6 e 8) e ai lavoratori delle imprese coinvolte (art. 13); gli obblighi di trasparenza sugli assetti proprietari, inclusa ogni struttura e disposizione che potrebbe ostacolare l’assunzione e l’esercizio del controllo della società da parte di un offerente (art. 10); i diritti residuali di acquisto (art. 14) e vendita (art. 15); e, infine, le regole di svolgimento dell’OPA (art. 4, 7 e 12).

10. L’art. 11 della proposta di direttiva prevede l’inopponibilità all’offerente delle restrizioni al trasferimento dei titoli e all’esercizio dei diritti di voto, durante il periodo entro il quale l’offerta deve essere accettata (par. 2 e 3); inoltre, quando l’offerente abbia ottenuto un numero di titoli sufficiente a modificare lo statuto della società, tali restrizioni, nonché i diritti speciali degli azionisti che riguardano la nomina o la revoca dell’organo di amministrazione, sono sospesi in occasione della prima assemblea generale che segue la chiusura dell’offerta. Queste misure tutelano il diritto degli azionisti di decidere sull’offerta, liberandoli dai vincoli statutari e contrattuali che impediscono il voto o il trasferimento dei titoli; e garantiscono che l’offerente possa esercitare i diritti di controllo nella prima assemblea dopo il successo dell’offerta. Norme di questo tipo già esistono nei paesi membri dell’Unione, inclusa l’Italia. Esse non sembrano alterare i diritti patrimoniali e di voto intrinseci al possesso delle azioni.

11. La proposta di direttiva è stata criticata per non aver disciplinato quegli ostacoli alle offerte pubbliche di acquisto che derivano dalla separazione tra proprietà e controllo, che pertanto si propone di vietare. Si oppone all’accoglimento di questa tesi, in primo luogo, l’art. 295 del Trattato CE, che difende la libertà di ciascuno stato membro di regolare il regime di proprietà. Tale libertà non è assoluta, trovando un limite nei principi fondamentali del Trattato, come il principio di non discriminazione e la libertà di stabilimento. Tuttavia, occorre chiedersi se effettivamente la libertà di stabilimento richieda l’eliminazione di tutte quelle differenti regole di governo societario che possono ostacolare la contendibilità del controllo. Come si è ricordato, il Trattato CE la definisce come libertà di “costituzione e gestione di società secondo la legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini”. E’ dubbio che da questo si possa derivare una competenza ad incidere sugli assetti proprietari e i diritti patrimoniali; ciò implicherebbe una scelta generale di favore verso i mutamenti del controllo, che finora mai era stato ravvisato nel Trattato. In ogni caso, se s’intende forzare in questo senso l’interpretazione del Trattato, lo strumento appropriato sarebbe una direttiva di armonizzazione del diritto societario; la sospensione attraverso la direttiva sull’OPA di diritti di proprietà liberamente acquistati sul mercato, con piena conoscenza dei relativi diritti patrimoniali, appare ancora più difficile da giustificare.

12. Le perplessità sulla nozione di level playing field aumentano se si considera che – come è universalmente riconosciuto – non è possibile eliminare tutte le barriere che impediscono il trasferimento del controllo (descritte nel par. 5 supra): infatti, ciò implicherebbe limitazioni generali dell’autonomia contrattuale e organizzativa delle imprese che sarebbero difficilmente accettabili per gli stati membri e, in ogni caso, solo nel contesto di una direttiva di armonizzazione del diritto commerciale. Se alcune delle barriere restano utilizzabili, allora inevitabilmente le società vi farebbero ricorso al posto di quelle rese inefficaci, frustrando l’obiettivo di parità concorrenziale e introducendo artificiali distorsioni nella strutture proprietarie. Inoltre, negli Stati Uniti le misure difensive, e in generale gli assetti proprietari, non sono oggetto della legislazione federale, e sono consentite ampiamente in quella di alcuni stati. Pertanto, la conseguenza paradossale dell’obiettivo di parità concorrenziale all’interno dell’Unione sarebbe di facilitare l’acquisizione di imprese europee da parte di quelle americane, mentre le barriere all’acquisizione di imprese americane resterebbero immutate.

13. Se si conviene che l’obiettivo di creare un level playing field è confuso, contraddittorio e, alla fine, controproducente, la ricerca di un consenso di coloro che ancora si oppongono alla proposta della Commissione potrebbe essere ricercata in altre direzioni. Ad esempio, pur tenendo fermo il principio generale secondo cui le decisioni relative all’offerta pubblica spettano agli azionisti, si potrebbe consentire ai legislatori nazionali di prevedere, nelle leggi nazionali di trasposizione della direttiva, che gli statuti delle società possano delegare il potere di deliberare l’adozione di misure difensive ad altri organi societari. Tale previsione potrebbe essere temperata attraverso un meccanismo di “call back” nel senso che l’assemblea degli azionisti possa di nuovo reclamare la decisione. Tali previsioni statutarie sarebbero ovviamente soggette ai requisiti di trasparenza dell’art. 10.

14. Pur se nel complesso la nuova proposta della Commissione appare abile ed equilibrata, alcune modifiche della lettera di singoli articoli appaiono desiderabili. Si segnalano qui di seguito le due più rilevanti, senza tentare per ora di proporre una precisa formulazione:
a. Per il prezzo equo dell’OPA obbligatoria, l’art. 5 adotta la soluzione del mercato inglese, la quale prevede la corresponsione del prezzo massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente nei sei o nei dodici mesi precedenti l’insorgere dell’obbligo di OPA; tale soluzione è la più onerosa per l’offerente e può determinare un freno indesiderato alle offerte d’acquisto, tanto più, quanto più larga è la platea dei titoli oggetto dell’obbligo d’offerta;

b. Mentre appaiono condivisibili i requisiti di trasparenza imposti alle società quotate dall’art. 10, appare vessatoria e, in certi casi, anche estranea ai poteri dell’assemblea, la previsione del par. 3 secondo cui l’assemblea degli azionisti si dovrebbe pronunciare “almeno ogni due anni sugli aspetti strutturali e i meccanismi di difesa” della società.

Fonte: Assonime COM n.534 - del 2 ottobre 2002

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