Il guanto di sfida dello sciopero generale lanciato dalla Cgil, è arrivato proprio nel momento in cui il Governo si avvia a varare alcune importanti riforme strutturali dell’economia, destinate a dare certezze al reddito degli italiani. Ma oltre all’avversione alle riforme, rese ancor più urgenti dal peggioramento dell’economia mondiale, la muscolarità della sfida sindacale nasconde un contrasto di potere sindacale e politico che nulla a che vedere con i destini dei pensionati presenti e futuri. Quale?
Sindacati e governo si sono parlati a lungo in queste settimane, soprattutto sul tema delle pensioni che, come ci ricordano in ogni momento l’Europa, l’Ocse, il Fondo monetario e la Banca d’Italia, costituisce la prima emergenza da affrontare. E dal dialogo sono emerse anche le linee di una riforma governativa sulla previdenza che prevede la liberalizzazione dell’età pensionabile, l’abolizione del divieto di cumulo tra pensione e altri redditi, la certificazione dei diritti acquisiti, le agevolazioni, anche fiscali, per il decollo dei fondi pensione, purchè al lavoratore sia lasciata libertà totale di decidere se aderirvi o meno.
Sicché avremmo capito, sia pure senza approvare, uno sciopero generale contro tali proposte ed a sostegno di altre, alternative, lanciate dalla Cgil. Invece no, lo sciopero generale è stato annunciato, non contro i contenuti delle proposte , ma contro il metodo scelto dal governo per realizzarle, cioè lo strumento della legge delega. Il chè è assai curioso, perché è come se il Governo protestasse contro il modo di organizzare le assemblee sindacali o come votare le mozioni di un congresso del sindacato dei chimici, cose che, giustamente, la Cgil organizza come crede.
Una follia? Può darsi ma se pure fosse, per dirla con Shakespeare, c’è del metodo in questa follia. Il motivo di tanta avversione in realtà sta nel fatto che, con la legge delega, il Governo fissa i principi generali delle riforma delle pensioni , li discute con il sindacato ne chiede l’approvazione al Parlamento e poi vara le norme con decreto delegato, senza più sottostare a voti parlamentari sostanziali, evitando pasticci e assicurando così la garanzia di chiarezza, coerenza e compattezza delle norme che invece mancherebbero se la riforma maturasse tutta in parlamento e fosse esposta ai baratti politici, alle imboscate, ai patti scellerati dove partiti o parlamentari si scambiano favori e concessioni dimenticando spesso l’interesse dei lavoratori.
E’ questo che il Governo vuole evitare ma è esattamente questo che il sindacato e la Cgil soprattutto vuole invece difendere. Perché ne va della funzione e del potere del sindacato che, in materia sociale, vuole il monopolio della rappresentanza anche avocandolo al Parlamento. Di più, la Cgil di Cofferati ne sta facendo addirittura uno strumento di lotta politica nella battaglia in corso all’interno dei DS , schierando il più grande sindacato al servizio di una fazione minoritaria della Quercia, quella di Salvi, con lo scopo di sponsorizzarla e così condizionare il partito e governarlo dall’esterno anche a dispetto di chi ne sarà il legittimo segretario.
Se così stanno le cose fa bene dunque la Cisl a prendere le distanze e fa bene soprattutto il Governo a tenere duro. Il rinvio del termine ultimo per le decisioni, spostate alla fine dell’anno consente ora un ulteriore spazio di manovra. Sarà utile utilizzarlo per concordare fin dove è possibile con il sindacato i principi della riforma, ma rafforzarla e poi vararla per legge delega, chi ci sta ci sta, riportando la sovranità là dove essa ha origine, in Parlamento. E se poi Cofferati deciderà ugualmente di scioperare, gli italiani sapranno che lo avrà fatto contro le riforme ma soprattutto contro il parlamento, un’iniziativa certamente pacifica ma per certi versi anche “eversiva”.
Bruno Costi
Sciopero generale, il vero obiettivo di Cofferati
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