• sabato , 23 Novembre 2024

L’Italia malata di sclerosi multipla si cura così

E’ davvero così ripiegata su se stessa, appagata nella sua opulenza, apatica , poco reattiva e produttiva l’Italia di questi mesi, descritta dall’annuale rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese? O l’Italia vera è forse quella che al tramonto del vecchio grande capitalismo familiare contrappone lo scintillio della fashion industry, del migliaio di nuove medie imprese nate nel decennio e subito globalizzate, quella del boom immobiliare che dà casa in proprietà a quasi a tutti; quella che, zitta zitta, sta inglobando internet e le tecnologie dove meno te l’aspetti, cioè nella pubblica amministrazione?
Il più acuto sensore delle pulsioni del Paese, quale il Censis di Giuseppe De Rita è ormai da oltre un ventennio, ha prodotto anche quest’anno la sua interpretazione dell’Italia, scrutandone le viscere per catturare il possibile significato del più piccolo segnale o brivido che corre lungo la spina dorsale della società e dell’economia. Ed il responso che i sensori Censis, sempre opinabili ma comunque suggestivi, hanno fornito, indicherebbero un’Italia poco reattiva, senza spinta propulsiva e progettuale, in mezzo al guado ed in attesa di un’aspettativa positiva che, se tardasse ancora, diverrebbe delusione; ma anche un’Italia dalle abitudini opulente, che dalla finzione filmica della “Dolce Vita” di Fellini è oggi approdata alla “vita dolce” della campagna o del buon vivere dei piccoli centri.
Quale che sia la corretta interpretazione , un fatto è indiscutibile ed anche le rilevazioni del Censis ne sono testimonianza: il Paese non cresce, non moltiplica la ricchezza, produce posti di lavoro generosamente incentivati ma, a parità di Pil, sempre meno produttivi: lo sono i lavoratori, lo sono le grandi imprese apparentemente avviate ad un mesto accomodamento nella serie B del mondo, lo sono le istituzioni. Colpa di una classe dirigente fantasma? Colpa del declino della grande blasonata industria italiana? Fatto l’Euro, colpa di un nuovo entusiasmante obiettivo da raggiungere?
C’è del vero e del verosimile nell’analisi proposta dal Censis.
L’incapacità di crescere dell’economia, genera accomodamenti psicologici e di consumi che possono essere confusi con apatia ed incapacità reattiva. E’ dunque sull’incapacità di crescere dell’economia che occorre interrogarsi per tentare di capire ciò che ne consegue nella società italiana.
C’è da chiedersi allora se la prima causa possibile della scarsa crescita e della progettualità, sia demografica. La popolazione italiana è fra le più longeve del mondo , ed è un bene, ma è anche la meno prolifica. Una società demograficamente giovane trasferisce nei comportamenti collettivi aggressività, sfida, voglia di competere ed esprime tensioni e consumi coerenti . Una società vecchia, se opulenta, trasferisce orizzonti di crescita e di iniziativa tipici di chi la vita l’ha già vissuta, permea di sé non solo la società ma , con i suoi consumi finali, anche l’offerta dell’industria: più beauty farm e meno tecnologia; più vacanze del benessere e meno fabbriche.
Ma c’è da chiedersi anche se la causa della scarsa crescita non sia in quel contesto politico culturale economico che ostacola da un trentennio il formarsi di condizioni favorevoli allo sviluppo, come sottolinea spesso il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Certamente non ha favorito lo sviluppo un concetto di democrazia tradottosi nell’eccesso di rappresentanza e di mediazione spinto fino ai livelli più micro, talchè qualsiasi grande infrastruttura pubblica può essere bloccata da un comitato di quartiere. Nè ha favorito lo sviluppo l’eccesso di cultura egualitarista, che, senza produrre equità, ha spinto gli imprenditori a delocalizzare l’imoresa. Infine, probabilmente, non ha favorito lo sviluppo l’incapacità di reggere lo choc competitivo generato dalla globalizzazione , come la vicenda Fiat mostra in queste settimane.Tre ordini di ragioni alla base della sclerosi della società e dell’economia italiana per le quali il lavoro appena cominciato e ben lungi dal considerarsi concluso non puà ancora essere oggetto di bilanci conclusivi, ne di giudizi definitivi. Buon lavoro al manovratore.

Fonte: «Il Giornale» del 10 dicembre 2002

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