• martedì , 24 Dicembre 2024

La trincea inesistente del Welfare

Siccome i riflessi condizionati sono merce corrente nelle polemiche italiane, è probabile che quando nei prossimi mesi si definiranno le piattaforme programmatiche per le prossime elezioni regionali e politiche, tutte le forze politiche, ma specialmente la «sociale» sinistra, mostreranno l’ intenzione di difendere con durezza il livello di welfare state costruito negli ultimi cinquanta anni, magari con qualche correzione, rielaborazione e rinnovamento. Non terranno conto verosimilmente di legarsi non solo al passato, ma ad una ormai declinante concezione del sociale come impegno alla copertura pubblica dei bisogni collettivi (scuola, sanità, pensioni), copertura necessaria per garantire coesione sociale, esorcizzare il conflitto, provvedere alle fasce più deboli della popolazione, fornire adeguati flussi di risorse ai vari settori.
Il mondo cambia e si moltiplicano anche i modi di intendere la questione sociale. Alla idea che «il sociale» corrisponda alla copertura pubblica dei bisogni collettivi comincia infatti a contrapporsi una seconda idea, per cui il sociale starebbe nell’ accesso popolare a beni e servizi resi sempre meno costosi dal mercato e dalla concorrenza. Tommaso Padoa-Schioppa (Corriere, 20 settembre) è stato in proposito di una lucidità estrema, dicendo che sarebbe antisociale non tener conto che «oggi la giovane coppia che vive con mille euro al mese può arredare casa, ascoltare ottima musica, o andare con facilità a Londra grazie ai prezzi di Ikea, Naxos, e Ryan Air che nessun mobiliere italiano, casa discografica o compagnia aerea nazionale può offrirgli. Dove sta il sociale?». Certo, nella testa di Padoa Schioppa non sta nell’ affanno e nella concertazione su esuberi, pensioni, statuto dei lavoratori, salario garantito, sussidi di vario tipo, riforme scolastiche e politiche sanitarie.
Non si reagisca in modo irritato, specialmente a sinistra, a questa blasfema identificazione fra sociale e consumo a basso costo (magari responsabile o ecosolidale). E’ una identificazione che va prendendo piede, e che è coerente con la vittoriosa cultura capitalistica di questi anni. Ci dovremo comunque fare i conti. Avremo allora una tradizionale contrapposizione politica fra chi, a sinistra, difenderà la sacralità del welfare e chi, a destra, difenderà la capitalistica connessione fra consumi e sociale? Previsione forse troppo avventata, visto che è in arrivo una terza concezione di sociale ancora più avventata ma che è difficile etichettare di sinistra o di destra. Si legga, per averne un’ idea, l’ articolo di Giuliano Ferrara sul Foglio, sempre di lunedì scorso: ci spiega come nell’ anima profonda degli Usa, si affermi sempre più come questione sociale «l’ attivismo entusiasta di valori conflittuali» in temi come le tasse, l’ aborto, la difesa della famiglia, il controllo della ingegneria genetica, il vigore antiterrorista il significato profonda del vivere e dell’ operare. E’ una concezione valida solo per gli Stati Uniti, lontana dalla realtà italiana?
Certo è notevolmente fondamentalista e da right nation poco coerente con la nostra cultura compromissoria ed adattativa; ma va notato che anche in Italia è fatto sempre più fatto di sentimenti ed emozioni e che su alcuni dei temi sopra citati c’ è dialettica politica anche da noi, come dimostrano le polemiche trasversali sulla procreazione assistita. Accanto comunque alle tre concezioni del sociale fin qui richiamate in Italia sembra affermarsi, in silenzio, una propensione a connettere lo sviluppo sociale alla tensione collettiva a forme di convivenza a più alta qualità della vita. Chi osserva infatti la società italiana vede una crescente propensione a vivere in piccoli insediamenti, con maggiore e naturale sicurezza collettiva, a più alta socializzazione, con più partecipazione alla vita pubblica come a quella culturale, con più alto attaccamento a fruizione dei beni artistici e del paesaggio, puntando alla valorizzazione dei prodotti tipici e dell’ agriturismo. Comincia ad affermarsi anche all’ estero una Italia «borghigiana» che sente il sociale come più alta qualità della convivenza, lontano verosimilmente dalle altre tre concezioni, desuete o montanti, sopra richiamate. Sarà interessante vedere come le coalizioni elettorali prossime venture si muoveranno nel giuoco dei quattro cantoni delle concezioni di sociale qui richiamate. C’ è solo da sperare che non vinca la voce della foresta di rintanarsi nella pura difesa del welfare, pur sapendo che continuerà a farsi male. Giuseppe De Rita

Fonte: Il Corriere della Sera del 23 settembre 2004

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