TRE ANNI fa, in questi giorni, il Parlamento approvava il complesso di norme che vanno sotto il nome di “Legge Biagi”. La ricorrenza cade proprio in un momento in cui, all’interno della maggioranza e del governo ci sono forze che vorrebbero fare passi indietro nei confronti del disegno di un riformista che non era solo uno studioso di vaglio ma anche e soprattutto una persona di grande umanità (come lo ricordano tutti coloro, me compreso, che gli sono stati amici). Tale disegno mirava a regolare, con efficienza ed equità, il mercato del lavoro del ventunesimo secolo costituito da forme plurime e innovative di rapporti di lavoro. Solamente tramite una flessibilità regolata si potrà combattere efficientemente il lavoro nero, il capolarato e tutte le altre forme di sfruttamento. Grazie alla “Legge Biagi”, il tasso di disoccupazione è sceso al 7% delle forze lavoro (rispetto al 9% del 2000). In breve, tra il 1995 ed il 2003, l’occupazione nel settore privato è aumentata di 1,4 milioni, con un incremento dell’8,4%, mentre la produzione è cresciuta del 13,7% (l’accelerata si è avuta nel 2000-2005 ma non ci sono ancora i dati sufficienti per un’analisi econometrica). Nei 15 anni precedenti, l’occupazione ha segnato una contrazione del 4,5%, mentre la produzione è aumentata del 37%. Si è passati da una lunga fase di crescita senza lavoro a una di lavoro anche con poca crescita. In che misura le restrizioni e i vincoli ai mercati (e del lavoro e dei prodotti) hanno inciso sulla prima e sulla seconda? Sappiamo che nella seconda fase (quella della crescita dell’occupazione) i salari reali sono rimasti sostanzialmente costanti e il numero dei contratti a termine per le nuove assunzioni è cresciuto dal 34% al 42% (mentre nell’occupazione dipendente totale sono rimaste attorno al 13%). Due analisi Bankitalia approfondiscono i dati aggregati con due interessanti analisi econometriche. La prima (pubblicata in “Temi di discussione” n. 583) riguarda il settore delle società di ingegneria e stima il valore dei contratti a termine in termini di riduzioni di costi associati a eventuali licenziamenti per meglio studiare la potenzialità del neo-assunto (ossia come un periodo di prova). A seconda della tipologia dell’impresa del settore, il valore consiste in una riduzione dei costi tra il 10% e il 22%, con un aumento di lungo periodo dell’occupazione tre i 3,1 ed i 6,7 punti percentuali. La seconda (“Temi di discussione” 594) esamina gli effetti della liberalizzazione del mercato dei prodotti in due Regioni – Marche ed Abruzzo – e un settore specifico: il commercio al dettaglio. Le due Regioni sono state scelte perché se considerate insieme espongono una dinamica della crescita dell’occupazione nel settore simile alla media nazionale nel 1996-2003 (l’1% quasi interamente nella grande distribuzione. Se viste, invece, distintamente, pur avendo caratteristiche simili (in termini di dimensioni, demografia, struttura della produzione), hanno seguito strategie divergenti: la Regione Marche ha liberalizzato il settore mentre la Regione Abruzzo ha posto vincoli e razionato l’apertura di nuovi grandi centri commerciali. Nelle Marche, c’è stato un forte aumento dell’occupazione nel settore, anche nei negozi di piccole dimensioni (nonostante il numero dei titolari di piccole aziende commerciali sia diminuito dello 0,5% nel periodo in esame). In Abruzzo, invece, la crescita dell’occupazione nel settore è stata molto modesta. Il succo di questi casi è: avanti in memoria di Marco e dei tanti giovani a cui la legge che porta il suo nome sta dando lavoro.
Fonte: Il Tempo del 27 settembre 2006Le visioni di Marco Biagi? Una certezza
L'autore: Giuseppe Pennisi
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