Sei mesi da gennaio per decidere che cosa fare dei soldi che vengono accantonati per la liquidazione (per chi ce lha, naturalmente). Metterli in un Fondo pensione? Lasciarli in azienda, o nellapposito Fondo dellInps che garantirà un rendimento analogo allattuale? Una scelta niente affatto facile e che comporterà comunque un margine di incertezza, perché entrano in giuoco vari fattori imponderabili ed è quindi impossibile dare una risposta netta: meglio questo o meglio quello. Però si può tentare di esaminare i vari fattori che influenzeranno il risultato: alla fine, ciascuno deciderà secondo le proprie propensioni.
Il rendimento di oggi. I soldi accantonati per la liquidazione (più in breve: Tfr, trattamento di fine rapporto) oggi vengono rivalutati ogni anno di un tasso pari al 75% dellindice dei prezzi al consumo (cioè linflazione) più 1,5 punti percentuali. Ciò significa che con uninflazione inferiore al 6% (in realtà, se si considera il peso del fisco, intorno al 5) la rivalutazione è reale, cioè ci si guadagna; se linflazione è più alta la rivalutazione non tiene dietro alla corsa dei prezzi. Ormai da molti anni siamo abituati a uninflazione bassissima, intorno al 2%. Ma il problema di queste scelte è che bisogna guardare al lunghissimo periodo: una carriera lavorativa dura dai 25 ai 40 anni e in un tempo così lungo può succedere di tutto. Quaranta anni fa (1966) eravamo in un periodo di stabilità e di inflazione e tassi contenuti; ma trenta anni fa eravamo nella super-inflazione provocata dalla crisi petrolifera (e dalla guerra in Vietnam), e linflazione in Italia arrivò a superare il 20% e rimase a tassi a due cifre per molti anni. Con uninflazione al 20% il Tfr si rivalutava del 16,5 (lordo), quindi cera una perdita in termini reali. Non è detto che succeda di nuovo in futuro. Ma nessuno può assicurarci del contrario.
Il rendimento del Tfr però è sicuro. Che piova o ci sia il sole, rimane quello, perché è fissato per legge. Inoltre la somma accantonata è garantita anche rispetto a uneventuale fallimento dellazienda, perché in quel caso verrebbe pagata da un apposito fondo dellInps.
Il rendimento dei Fondi pensione. Dire qualcosa in proposito è ancora più difficile, per vari motivi. Il rendimento del Tfr è uguale per tutti, quello del Fondo pensione è diverso non solo tra un Fondo e laltro, ma anche per i singoli aderenti allo stesso Fondo. Intanto perché di norma si può scegliere fra varie linee di investimento. In linea di massima ce ne sono almeno tre: una conservativa (il patrimonio viene investito tutto o quasi in obbligazioni); una bilanciata (parte in obbligazioni e parte in azioni, per esempio 70/30 o 60/40); e una più aggressiva (prevalgono gli investimenti in azioni). Può essere applicato il principio del life cycle, con gli investimenti azionari che diminuiscono man mano che aumenta letà dellinteressato, in modo da ridurre il rischio; ma in definitiva lultima parola spetta al sottoscrittore.
Ovviamente, poi, tra i gestori ci sono quelli più bravi e quelli meno bravi. Aderendo ad un Fondo non si ha nessuna garanzia del rendimento, può andare bene o può andare male. O meglio, esistono anche quelli che offrono garanzie di rendimento minimo (non un granché, di solito: più o meno la conservazione del valore rispetto allinflazione), ma queste garanzie hanno un costo, che ovviamente va a scapito del rendimento.
Il rendimento delle azioni nel lungo periodo. Ma perché, allora, ci si dovrebbe imbarcare in questa avventura? Molti esperti risponderanno che è provato che, nel lungo periodo, linvestimento azionario è redditizio, più di quello in obbligazioni e anche più del Tfr. Queste prove derivano da osservazioni statistiche sullandamento delle Borse, confrontato con il rendimento degli altri strumenti di investimento. Si tratta di calcoli basati di solito sulla Borsa americana, che è sempre stata una delle più importanti ed evolute, ed abbracciano periodi lunghissimi, anche un secolo.
Ora, questi calcoli sono senzaltro corretti, ma hanno un punto debole: ci offrono una media, che, comè noto, può derivare da valori anche molto diversi. In altre parole: sarà certamente vero che nellarco del XX secolo il rendimento delle azioni è stato abbondantemente vincente; ma lo è stato anche tra il maggio 1971 e il maggio 2001 (sono due date prese a caso), quando il signor Rossi ha versato i suoi contributi nel Fondo pensione? E lo è stato anche tra il gennaio 1975 e il marzo 2004, quando il signor Bianchi è andato in pensione dopo aver versato per tanti anni i suoi soldi al Fondo? Insomma, quando si prende uno specifico punto di partenza e uno specifico punto di arrivo, il vantaggio non è più così sicuro, come dimostra la tabella che segue.
Rendimento zero Indice S&P500 deflazionato con i prezzi al consumo
dal al durata
Agosto 1906 Settembre 1928 22 anni e 8 mesi
Settembre 1929 Novembre 1958 29 anni e 2 mesi
Dicembre 1968 Gennaio 1992 23 anni e 1 mese
Agosto 2000 ???? 6 anni e tre mesi (per ora)
Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore (Fabrizio Galimberti su Plus del 12.3.2005) su dati di archivio e Us Department of Labor Lultimo dato è stato aggiornato da LEspresso
Anche la Borsa americana ha avuto dei periodi in cui le azioni hanno reso zero in termini reali. E quanto sono stati lunghi questi periodi? Tantissimo: due di 23 anni e uno di oltre 29. Ci può stare dentro tutta una storia contributiva, in questi periodi. Chi ha avuto la sfortuna (e qualcuno sicuramente cè stato) di incappare in queste fasi negative, ha ottenuto un ben magro risultato. Il quarto di questi periodi è tuttora in corso, da più di sei anni. Qualche settimana fa, infatti, è stato celebrato il nuovo record storico dellindice Dow Jones, che ha superato gli 11.727 punti che aveva raggiunto nel gennaio 2000 prima del crollo dei mercati. Ma si tratta di un record in termini nominali, perché, ha notato il Wall Street Journal, considerando linflazione del periodo manca ancora un buon 20%.
Riassumendo: il rendimento del Fondo dipenderà dallandamento dei mercati, dalla bravura o meno dei gestori, dalle scelte individuali di investimento e dal periodo in cui ci si troverà a fare i versamenti. Per molti probabilmente potrà andare bene, e otterranno un rendimento superiore a quello attuale del Tfr; ma, altrettanto probabilmente, per qualcun altro andrà meno bene. Come per i polli di Trilussa, ci sarà chi ne mangia due, ma ci sarà anche chi rimarrà a bocca asciutta.
Ma i Fondi pensione non sono tutti uguali. Cè unaltra questione da prendere in considerazione: quella del costo dellinvestimento I Fondi pensione, infatti, hanno delle spese, sia per gli investimenti che per lamministrazione, e naturalmente queste spese sono a carico del sottoscrittore. A guardarle sul singolo versamento sembrano pochi spiccioli, invece incidono, a volte pesantemente, sul risultato finale. Una ricerca in proposito è stata condotta dal Cerp, centro studi torinese diretto dalleconomista Elsa Fornero.
I Fondi si dividono in tre grandi famiglie: quelli contrattuali, cioè contrattati fra sindacati e datori di lavoro delle varie categorie; quelli aperti, cioè offerti sul mercato dalle Società di gestione del risparmio; e le polizze individuali, offerte dalla compagnie di assicurazione. Secondo la ricerca del Cerp la convenienza dal punto di vista dei costi è nellordine in cui li abbiamo nominati, ma non mancano sovrapposizioni (cioè ci possono essere, per esempio, Fondi aperti più cari di una polizza individuale, ecc.). Esaminare attentamente i costi è un esercizio tuttaltro che superfluo: il Cerp ha calcolato che, sullarco di 35 anni, il prodotto più caro si mangia, in tasse e commissioni, ben il 59% del capitale che sarebbe maturato investendo la cifra netta; il prodotto meno caro (che è un Fondo contrattuale) solo il 12,5%. Per le polizze la media è al 48%, con la meno cara al 34; per i Fondi aperti media al 37,6 con un minimo al 26%.
Ma non è ancora finita. Arrivati alla sospirata pensione si sarà maturato, con i versamenti, un certo capitale. La legge stabilisce che, volendo, si può riscuotere in contanti non oltre la metà, mentre con il resto si deve stipulare un contratto con unassicurazione per ottenere un vitalizio. Anche questo contratto, naturalmente ha un costo, che sicuramente non è indifferente perché le Compagnie devono tutelarsi dal rischio sopravvivenza. Le tabelle attuariali pongono oggi la vita media intorno agli 80 anni, ma se uno gli fa il dispetto di campare allegramente fino a 100 o più (cosa che non è poi così rara) lassicurazione deve continuare a versare. E siccome come ogni azienda non vuole fallire, tende a tenersi più in basso possibile con limporto stabilito.
Ma arriva in soccorso il fisco. Dopo tutto quanto è stato detto, si capisce che sulladesione ai Fondi circolino molte perplessità. Ma a questo punto il fisco tita fuori un asso: capitale e rendita dei Fondi pensione sono tassati in modo molto più favorevole sia della pensione pubblica che del Tftr.
La pensione pubblica, infatti, paga normalmente lIrpef; sul Tfr si paga il 23% (fino a circa 120.000 euro); sui frutti dei Fondi pensione, invece, si paga il 15, e anche meno, perché limposta diminuisce dello 0,5% per ogni anno di permanenza nel Fondo dopo i primi 15 (con 35 anni, quindi, si arriva al 9% appena). E chiaro che questo fatto imprime una forte spinta alla convenienza del Fondo, tanto maggiore quanto più alto è il reddito (perché maggiore è la differenza rispetto allaliquota che si sarebbe altrimenti pagata). Oltretutto, è persino possibile un trucchetto: uno si conserva il Tfr, e poi, un anno prima di andare in pensione, chiede al datore di lavoro di versarlo tutto in un Fondo, in modo da sfruttare la tassazione più favorevole.
Ma anche qui cè un rischio: chi mi assicura che questa tassazione di favore, di qui a dieci, venti anni, sarà mantenutà? Nessuno. Uno dei prossimi governi potrebbe decidere che questo beneficio è ingiustificato, o più probabilmente troppo costoso.
La terza via. Insomma, scegliere è tuttaltro che facile, e alla fine forse sarà decisiva la propensione al rischio di ciascuno. Tanto più che potrebbe esserci anche una terza possibilità. Un gruppo di economisti e sindacalisti ( tra i firmatari Roberto Pizzuti, Luciano Gallino, Gianni Rinaldini, Paolo Leon) ha lanciato un appello perché sia data la possibilità a chi lo vuole di utilizzare il Tfr per aumentare i contributi alla previdenza obbligatoria, come prevedeva il Programma dellUnione (il testo dellappello è su www.eguaglianzaeliberta.it). Basterebbe la metà del Tfr, affermano, per aumentare di 10 punti percentuali il tasso di copertura (ossia limporto della pensione rispetto allultimo stipendio), senza contare che ci sarebbe un flusso annuo di un punto di Pil che sarebbe conteggiato per la riduzione del disavanzo pubblico. Ma questa, al momento, è una possibilità solo teorica.
Fonte: L'Espresso ddl 10 novembre 2005