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Le politiche ambientali spingono la crescita

C’È UNA novità in materia ambientale. E’ il collegamento più stretto che si è stabilito tra di essa e gli aspetti economici della nostra vita. È da tempo che le questioni ambientali hanno fatto irruzione nella nostra realtà quotidiana. Esse hanno prodotto un cambiamento culturale del nostro modo di confrontarci con i problemi del nostro tempo. Non passa giorno che non se ne discuta ed è un bene che sia così. Quello che fino a ieri colpiva di più l’opinione pubblica e accendeva la discussione erano le ragioni di chi si oppone a livello locale a impianti ed interventi sul territorio per il timore che questi producano danni ambientali. Oggi, ciò che tiene banco è il fenomeno del cambiamento climatico ed il ruolo del fattore umano nel determinare il riscaldamento globale, comprovato al di là di ogni ragionevole dubbio dai prelievi a grande profondità sui ghiacciai dell’Antartide. Essi mostrano che la concentrazione di CO2 in atmosfera non era mai stata così alta negli ultimi 600.000 anni e non aveva in ogni caso mai superato il livello di tutta l’era pre-industriale.
Di qui l’esigenza di raccogliere la sfida legata al cambiamento climatico e di combattere l’aumento della CO2, ritenendola responsabile del riscaldamento globale. Ed è a questo proposito che i temi ambientali hanno trovato un collegamento diretto con lo sviluppo economico.
Fino a ieri il deterioramento e i danni prodotti dalle attività produttive sulle risorse naturali del pianeta prendevano la forma di costi addizionali che andavano calcolati in termini di impatto ambientale. Il cosiddetto rapporto “Stern”, dal nome dell’economista inglese che lo ha curato, va più avanti e sostiene che il riscaldamento globale può influenzare lo sviluppo economico nel suo complesso.
Secondo Stern i cambiamenti climatici potrebbero costare all’economia mondiale di qui al 2050 una percentuale di Pil mondiale tra il 5 e il 20%, con effetti molto differenziati in qualche caso drammatici per le diverse aree e popolazioni del pianeta. L’unico modo per reagire a questa prospettiva sarebbe di sostenere entro il 2050 costi equivalenti all’1% del Pil. Il merito del rapporto è quello di contrapporre i costi e i benefici delle diverse strategie praticabili, quella del non far nulla, oppure scegliere la strada della mitigazione dal riscaldamento globale o quella dell’adattamento o, ancora, quella di una qualche combinazione tra le diverse alternative.
Si tratta di un approccio che ha fatto discutere ma che è stato di recente ripreso in un documento della Commissione Europea che ha indicato l’esigenza di limitare, con appropriate politiche, l’aumento della temperatura globale media rispetto all’epoca pre-industriale, a 2 gradi centigradi.
Si possono valutare in maniera differente le conclusioni di questi rapporti, ma ne rimane in piedi tutto il valore pedagogico.
Esso consiste soprattutto nell’indicare l’esigenza di agire per fronteggiare eventi probabili anche se non certi.
Si tratta di assumere un atteggiamento simile a quello di chi, rispetto ad un evento incerto, decide di proteggersi con un’assicurazione. Il messaggio che ne viene è, in altre parole, che il costo di proteggersi da un evento, possibile anche se incerto, è minore del costo conseguente gli eventi, qualora essi si producessero. La quantità di CO2 e il riscaldamento globale vanno combattuti perché alterano il nostro ambiente in maniera incontrollabile: aumento di eventi estremi, del livello dei mari, forme di desertificazione più o meno estese che cambierebbero la vita di tutti noi e, assieme, effetti importanti sullo sviluppo economico. L’importanza e la dimensione di questi fenomeni, dipenderà in maniera cruciale, questo è il punto, dall’intensità dei nostri sforzi per fronteggiare la sfida del cambiamento climatico. Non si può aspettare. Occorre intervenire già oggi.
Le conoscenze sul riscaldamento globale sono andate parecchio avanti sul piano scientifico. E non ha senso rischiare il suicidio. È meglio pagare quel che è necessario ed abbassare un rischio che sta dietro l’angolo. Occorre farlo investendo in ricerca e tecnologia, oltre che con regole per ridurre le emissioni. Così facendo le politiche ambientali si possono trasformare, da costi addizionali per la collettività, in una straordinaria opportunità d’innovazione e crescita.

Fonte: Il Messaggero del 17 febbraio 2007

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