Dovremmo essere paradossalmente grati ai Pacs , ai Dico, ai gay militanti ed all’arroganza della cultura laicista per tutti gli eccessi che caratterizzano il dibattito sulle unioni di fatto. Ed il motivo è che proprio grazie a loro ed alla posizione egemonica che questa minoranza esercita sui media e sulla cultura prevalente, siamo tutti costretti ad interrogarci sulla famiglia e sulle sue condizioni oggi in Italia, con la conseguenza di mettere a fuoco la nostra identità e di fare riscoprire valori, ruolo, e diritti della famiglia anche a quel corpaccione della società italiana, indifferente, distratto, spesso narcotizzato dalle piccole e quotidiane dosi di “veleno relativista” del ” tutto si può, purché non tocchi il mio particolare”.
Sicchè, fra le tante osservazioni serie e meno serie, emergono realtà importanti a favore dell’istituto familiare che forse mai avrebbero avuto l’occasione di emergere. Fra queste la riscoperta del ruolo fondamentale che l’esistenza della famiglia di stampo tradizionale ha nella formazione del capitale umano, negli investimenti, nel risparmio, in sintesi nella crescita del prodotto lordo.
Sarà dunque l’economia a “vendicare” la famiglia dalle ingiustizie subite in altri campi della società? L’ipotesi non è affatto peregrina e fonda le sue radici niente meno che nella teoria economica del Novecento, in qualche Nobel per l’economia, e negli sviluppi dell’indagine contemporanea su questo versante.
Si scopre così una sorta di rivincita dei demografi, una nuova sensibilità degli economisti ed una convergenza degli uni e degli altri nel sostenere che la famiglia, quando è stabile ed è orientata a far figli, è un potente acceleratore della ricchezza individuale e collettiva. Del resto il pensiero economico contemporaneo aveva già appurato che la crescita economica è scatenata dalle tecnologie (Robert Solow), accelerata dalla presenza di capitale umano (Lucas), e resa giusta e democratica dalla comunicazione e dalla diffusione delle conoscenze (Romer). In sostanza, che se si accumula solo capitale fisico (ovvero solo soldi) l’economia cresce ma in modo diseguale; se invece si accumula capitale fisico e capitale umano (ovvero oltre ai soldi, anche figli ed educazione) l’economia cresce ancora di più e include molte più persone nell’area del benessere. Figli e educazione diventano dunque la presupposto determinante per la crescita economica.
Fin qui il pensiero economico. Ma dove nascono figli e educazione? Difficile sostenere che non sia la famiglia composta di uomo e donna. Perché è lì che nascono i figli, è lì che, quando sussistono stabilità, educazione, modelli validi, nasce il progetto di vita che produce un capitale umano di buona qualità. Se dunque i figli costituiscono il capitale umano prodotto dalla famiglia, la famiglia è la “cassaforte” del capitale umano; e se il capitale umano è il presupposto della crescita economica, con meno famiglie e meno capitale umano (i figli) manca il presupposto della crescita; la recessione delle famiglie diventa così la recessione dell’economia.
E’ probabilmente anche da qui che deriva la bassa crescita economica italiana rispetto all’Europa che, ovunque, ha più famiglie, più figli, più matrimoni che in Italia dove, negli ultimi 30 anni, abbiamo perso 150 mila matrimoni l’anno, 350 mila nascite l’anno, 1,2 figli per donna.
Ed è ovvio perchè: una società più vecchia e con meno figli, consuma diversamente, investe di meno, pensa meno al futuro. Una società più giovane con più figli ed un ambiente stabile di affetti dedito alla educazione, è più dinamica, più aperta alle sfide, più orientata all’investimento del lungo periodo; Franco Modigliani diceva anche con un ciclo di vita del risparmio più lungo. In conclusione, chi non ama la famiglia tradizionale come valore morale rifletta almeno al suo valore economica. Che non è certamente tutto né la cosa più importante, ma è qualcosa su cui riflettere.
Quella famiglia tradizionale che tiene in piedi l’Italia
Commenti disabilitati.