• sabato , 23 Novembre 2024

Draghi e l’opportunismo della politica

Sabato mattina. Mi sveglio leggendo i titoli di prima pagina dei giornali. Rileggo per essere certo. Ma sì, dicono che il Governatore Draghi abbia messo al centro della sua relazione alla Società Italiana degli Economisti i “salari bassi dei lavoratori italiani”. Che scoperta, mi dico, sono anni che il nostro reddito personale langue. Altro titolo “ora rilanciare i consumi”. Come, rilanciare i consumi? Ovvero? Scoraggiare il risparmio? Non posso credere che il Governatore della Banca Centrale, la banca delle nostre banche, a cui spetta in parte di proteggere l’articolo della Costituzione sulla tutela del risparmio abbia detto cose simili. Poi un sospetto mi coglie. Cosa avranno detto di queste battute sindacati e partiti massimalisti della sinistra? Vado nelle pagine interne e trovo l’intervista a Giordano che “approva Draghi” e ricorda la questione dell’armonizzazione delle rendite finanziarie. Addirittura un membro del Pdci su Repubblica invoca il ritorno alla scala mobile ed all’indicizzazione dei salari, tanto avversata da sempre, storicamente, a Via Nazionale. Ci manca solo di tornare ai salari “variabile indipendente” slegata dalla produttività, utopia disgraziata degli anni 70.
Non mi sorprende la reazione della sinistra ma trovo poco credibile che Draghi abbia sostenuto queste tesi. Vado sul sito della Banca per scaricare il discorso del Governatore, www.bancaditalia.it. Lo trovo nella home page. Mano a mano che lo leggo mi faccio catturare da due sentimenti. Il primo di ammirazione. Il discorso è ottimo, lo distribuirò lunedì ai miei studenti di Economia: mostra l’intelaiatura di una economia di mercato e dei suoi meccanismi di sviluppo con rigore e precisione. Il secondo è di sconcerto: ma come è possibile che sia stato interpretato in maniera così distorta da giornalisti ed opinionisti, servendo il piatto a politici non interessati alla verità delle cose?
L’argomento di Draghi è assai lineare. Parte da un dato di fatto inequivocabile. Dal 1992, i consumi pro-capite degli italiani sono cresciuti ben di più dei loro redditi, anche se meno negli ultimi anni. A fronte di una dinamica opposta in Germania. In Francia reddito e spesa sono invece cresciuti di pari passo. Nel Regno Unito, come in Italia, i consumi sono cresciuti più del reddito ma, al contrario dell’Italia, anche i redditi sono cresciuti. Un dato di fatto inequivocabile dal quale discende una ovvietà: non esiste un problema dei consumi in Italia. Semmai esiste un problema di risparmi che diminuiscono rispetto al passato (confermato nella relazione del Governatore) e di reddito stagnante (è qui semmai che va effettuata una nota critica alla relazione, che attribuisce la crescita dei risparmi tedeschi solo ad una crisi di fiducia dei consumatori – forse all’inizio era così – e non anche ai provvedimenti effettuati sia da Schroeder che dalla Merkel a favore del risparmio e tassando maggiormente i consumi).
Anzi Draghi spiega chiaramente e rigorosamente le possibili ragioni di una tale crescita dei consumi a parità di reddito: il rientro del debito e dei deficit pubblici ha ridotto le aspettative di maggiore tassazione futura, il calo dei tassi d’interesse reali ha sviato risorse dal risparmio, l’incremento dei valori immobiliari ha stimolato la spesa.
Terminati questi fattori dominanti negli anni 90 e nei primi anni di questo secolo, ci troviamo ora di fronte a consumi stagnanti e la spiegazione deve far riferimento a fenomeni di più lunga durata: correttamente Draghi menziona l’invecchiamento della popolazione come uno dei più rilevanti. Ma gira che ti rigira, alla fine si arriva al fattore chiave: le scarse prospettive di sviluppo. Di un’Italia che ha sì salari e stipendi, relativamente al resto dei partner UE, bassi nel settore privato (ma nel settore pubblico?) ma che ha anche recuperato notevolmente in termini di occupazione il suo gap col resto del Continente. Questo forse sarebbe stato bene approfondirlo meglio per chiarità di argomentazione: nel 1995, a fronte di un tasso di occupazione nell’Unione Europea a 15 del 60,1% , l’Italia è al miserrimo 51%; nel 2006 l’Unione migliora al 66%, ma l’Italia migliora di più con il 58,4%. Il tasso di disoccupazione è calato nell’Unione Europea (sempre a 15 paesi) dal 10% del 1995 al 7,4% del 2006 ma questo calo è stato più accentuato in Italia, dove è passato dall’11,2% al 6,8% nel 2006. Siamo ora, quanto a disoccupazione, meglio della media europea. Quindi è vero che ognuno di noi guadagna in media poco rispetto ai partner europei ma tale dinamica è smussata dal fatto che abbiamo recuperato sul numero (maggiore) di noi che guadagna.
Certo, ci ricorda Draghi, parte di questi nuovi lavori sono “precari” e si sono creati grazie al loro basso costo e sono per lavoratori a bassa produttività; ma hanno anche generato maggiore benessere se paragonati alla situazione alternativa in cui non si fossero autorizzati contratti flessibili, visto che erano lavori che solo con tali tipi di contratti le aziende avrebbero sottoscritto legalmente.
Il problema è ben altro ed è perfettamente sintetizzato da una frase, che va ripresa interamente, del Governatore: “le giovani generazioni d’oggi guadagnano meno delle precedenti perché la loro produttività è meno adeguata al paradigma tecnologico corrente di quanto non lo fosse la produttività delle generazioni entrate nel mercato del lavoro nei decenni passati al vecchio paradigma. Riportare la produttività su un sentiero rapidamente ascendente risolve il problema di offerta dell’economia italiana, consente aumenti retributivi, rafforza la domanda interna”.
Ecco qua la ricetta di politica. Nulla di più, nulla di meno. Altro che politiche salariali ed indicizzazioni, altro che rilancio della domanda di consumi: politiche dell’o-f-f-e-r-t-a che finiscono per trainare la domanda. Ovvero: stimolare risparmi ed investimenti, sia in capitale fisico che in capitale umano, stimolare invenzioni e innovazione non scoraggiando l’imprenditorialità. Un grafico sconvolge più di tutti nella presentazione di Draghi e sarebbe stato meglio metterlo ancor più in risalto. Non vi è differenza con i nostri 3 rivali europei, nel livello delle remunerazioni, nelle occupazioni manuali né tra quelle dei lavoratori con più di 50 anni (quelle categorie che forse vengono difese a voce alta da sindacati e partiti di sinistra). Vi sono differenze enormi tra lavoratori con meno di 50 anni. Dal lato della domanda di lavoro, ci ricorda il dramma menzionato da Draghi di non avere specializzazioni produttive ad alto valore aggiunto, un problema di innovazione. Ma dal lato dell’offerta di lavoro ci ricorda i pochi stimoli che arrivano ai giovani meritevoli, alle crescenti tentazione che ricevono di scappare altrove, ad un sistema che non premia il merito ma l’anzianità, nelle università in primis ma anche nel settore privato.
E’ sconvolgente notare l’opportunismo politico di una certa politica di fronte ai dati. E’ altrettanto deprimente notare la qualità di certa nostra carta stampata. E’ bene che il Governatore sia edotto di tale strutturale deficienza istituzionale, così da non poter più essere tirato per la giacchetta, rischiando di perdere un’occasione importante per educare il Paese sulle sue necessità. Forse andrebbe immaginato, perché no, un mondo nuovo in cui Via Nazionale cominci a contattare direttamente il popolo dei blog.

Fonte: Il Riformista del 30 ottobre 2007

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