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Il Pil? Misura l’efficienza produttiva, non il benessere

«L’uso che si spesso si fa, in politica o sui media, del concetto di Prodotto interno lordo come se fosse una misura del benessere, della qualità della vita o della felicità delle persone, è un uso distorto. Il Pil è un concetto nato per misurare l’efficienza produttiva di un paese, la sua performance di produzione. Nessuno mai, dal punto di vista teorico, ha voluto assegnare al Pil altre funzioni». Luigi Biggeri, presidente dell’Istat, fa capire chiaramente che il presidente francese Nicolas Sarkozy non ha inventato nulla di nuovo nel chiedere a ben due premi Nobel di trovare strumenti statistici più efficaci per dar conto del benessere dello Stato. «Già dagli anni Sessanta– spiega– dopo dieci o quindici anni dalla sua adozione, tutti sostenevano che il Pil era imperfetto anche come misura dell’attività produttiva».
Perchè?
E’ semplice. Con il Pil ci si riferisce solo ai beni finali di mercato e non si considerano le distruzioni di beni capitali o di risorse umane o ambientali. Inoltre, non si considera la produzione per auto-consumo delle famiglie: il lavoro delle donne casalinghe, di quelle che da sole si fanno i vestiti, o di quelle che fanno i capelli; una volta, quando la nostra cultura era più contadina, si faceva anche l’esempio della frutta e della verdura prodotta nel proprio orto. Insomma, già dopo pochi anni di vita, il Pil si è attirato tante critiche proprio sulla sua efficacia come misura dell’efficienza produttiva, rivolta unicamente a quanto avviene sul mercato. A maggior ragione il Pil non funziona come misura del benessere sociale. Eppure, i politici lo hanno usato moltissimo come parametro di riferimento “ampio”: basta pensare ai criteri per l’entrata nell’Unione europea.
Ma come mai si utilizza solo questo metro, pur sapendo che è così imperfetto?
Perchè non ci sono altre misure in grado di sostituirlo, in questo momento. Altri metri sono stati costruiti: per esempio l’indicatore di sviluppo umano dell’Onu, nel quale insieme al Pil si considerano altre variabili, come la disoccupazione o la speranza di vita alla nascita. C’è poi l’indicatore dello sviluppo sostenibile o prodotto sostenibile, per evitare di lasciare in eredità a i nostri figli e nipoti una società più povera riguardo alla ricchezze naturali e ambientali. Ma questi indicatori non si sono mai affermati fino in fondo. Inoltre, nell’ambito della contabilità nazionale è stato fatto anche un tentativo di inserire quanto meno gli aspetti ambientali con i cosiddetti conti satellite che cercano di dar conto di di peggioramenti ambientali o aspetti della salute.
Lei parla di ambiente e di salute e vengono alla mente i cumuli di immondizia a Napoli…
Guardi, qui tocchiamo con mano il paradosso del Pil come unità di misura: se lei fa il calcolo delle ore di straordinario della forza pubblica o i camion che lavorano per portar via i rifiuti, tutto ciò comporta un aumento del Prodotto interno lordo. Le faccio un altro esempio: se c’è un’ alluvione e tutti lavorano per cercare di eliminare questi danni, la produzione aumenta. E’ evidente che occorrerebbe prima calcolare il danno, sottrarre la distruzione di risorse e poi aggiungere la spesa per la ricostruzione….
Come si può avvicinare la fotografia fornita dal Pil alla realtà effettiva, tenendo conto anche dei livelli di benessere e delle percezioni della gente?
Ci sono tre metodi che la statistica offre. Il primo è integrare le attuali misurazioni del Pil e correggere il metro. Intorno al nocciolo duro si possono considerare degli elementi che accrescono il Pil e altri, che invece rappresentano danni, che possono essere detratti dalla misura normale del Pil. La seconda metodologia passa per la ricerca di un indice globale alternativo, ma l’inconveniente dell’indice globale è che esso dipende dal peso si dà ai singoli fenomeni. E allora ogni prospettiva può essere giustificata: i no global possono dare un peso superiore ad alcune variabili e magari i politici di governo attribuiscono un peso maggiore ad altri aspetti. Insomma, sulle ponderazioni è molto difficile trovare un accordo e l’indice sintetico ha sempre la difficoltà di essere accettato da tutti.
E la terza via?
La terza via passa per la disponibilità di un insieme di indicatori. Inoltre, si può fare una distinzione fra indicatori oggettivi e soggettivi. Questo ci permette di tracciare un quadro che fa luce non solo sull’aspetto economico ma anche sugli aspetti sociali e sulla soddisfazione delle persone. Pensi ad esempio al Development millennium goal. Noi in Italia realizziamo sin dal 1994 le indagini multiscopo sulle famiglie proprio per tener conto degli elementi sociali. E rileviamo lo stato di soddisfazione nei confronti dei servizi sociali, ma anche il tempo libero, la soddisfazione per la salute, il sentirsi poveri o no. Non a caso nel rapporto sulla situazione del paese che presentiamo ogni anno forniamo indicazioni sul welfare, sulla società etc.
Si fa così anche a livello internazionale?
Anche al livello Eurostat si discute molto di come integrare un set di più indicatori. Purtroppo, quando si va su cose difficili da misurare, a livello internazionale occorrono degli standard metodologici condivisi. E spesso gli statistici ufficiali impiegano anni per accordarsi. Allora, per superare l’impasse, a mio parere sarebbe meglio affidarsi inizialmente anche a misure un po’ approssimative che intanto ci danno un’idea del percorso.
Però, intanto, il “campionato internazionale” si gioca ancora utilizzando solo il Pil. Lei come valuta, esempio, la gara fra la Spagna e l’Italia? Chi ha ragione sul sorpasso?
Le gare basate su un indicatore sintetico, come dicevo prima, comportano differenti interpretazioni ed è evidente che questo genere di competizioni dal punto di vista di uno statistico hanno poco senso. Nel caso della Spagna e dell’Italia, infatti, se si fa riferimento all’indicatore del prodotto interno lordo pro-capite valutato in base alla moneta nazionale o anche in base all’euro si mette in evidenza che l’Italia è più avanti della Spagna. Se invece ci si riferisce al pil pro- capite ponderato per le parità di potere d’acquisto, è più avanti la Spagna.
E quale indicatore ha più significato ?
Dipende. Forse, per il singolo cittadino può avere più significato l’indicatore ponderato in base alle parità di potere d’acquisto. Ma per lo sviluppo di un’intera nazione ha più senso valutare sulla base dell’euro. Le faccio un esempio basato sulle terre di casa nostra.
Prego.
Se valutiamo il Prodotto lordo interno per abitante della Lombardia e quello della Calabria, di certo quello lombardo è nettamente più avanti della Calabria. Però, se io cambio indicatore e tengo conto delle parità di potere d’acquisto territoriali, vale a dire dei livelli dei prezzi che certamente in Calabria sono più bassi che dei prezzi in Lombardia, le distanze si accorciano. Tuttavia, anche la World bank e il Fmi che pure utilizzano il sistema con le parità di potere d’acquisto avvertono che quando le differenze fra stati a fra regioni non sono così forti, questa metodologia, che è imperfetta, non dà risultati certi. In Lombardia, per tornare al nostro esempio, non si consumano esattamente gli stessi beni che si consumano in Calabria.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 3 Marzo 2008

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