• lunedì , 23 Dicembre 2024

Sinistra (semi)rinsavita sul governo sanitario

Mentre al Senato passava la nefanda legge-bavaglio, alla Camera, nelle stesse ore, l’ opposizione conseguiva un successo di grande peso. La legge sul cosiddetto “governo clinico”, di cui il governo aveva predisposto una approvazione lampo da concludersi in tre giorni, veniva stoppata sulla pedana di lancio. Dopo le prime votazioni, da cui la maggioranza usciva battuta, gli stessi proponenti hanno preferito rinviare il provvedimento alla Commissione Affari sociali. Si tratta di una vittoria molto importante, non tanto per la eccezionalità del voto, quanto per i contenuti che erano in gioco. Essi vanno ben valutati anche perché è probabile che il testo, se pur rivisto, torni all’ ordine del giorno. Al centro del contendere sta il nodo avvelenato del rapporto tra politica e gestione della sanità. E precisamente la nomina dei cosiddetti dirigenti di struttura complessa, cioè i primari. Ho usato non a caso il verbo “contendere”. È questa, infatti, la prima volta in cui la sinistra si differenzia dal centrodestra su questo problema decisivo. Esso consiste nel quesito se, quando si nomina un primario, la scelta debba cadere sul candidato con maggiore capacità professionale nella sua specialità, comprovata esperienza di gestione, attività certificata di studi e pubblicazioni, oppure delegata all’ intuito del direttore generale della Asl, non sempre ma sovente, di ispirazione politico-corporativa e, comunque, non aliena dall’ influenza partitica dell’ assessore alla Sanità della Regione. Se in talune regioni più forti e “virtuose” (la Lombardia, il Veneto, l’ Emilia, la Toscana) le designazioni sono sovente rispettabili, ciononostante l’ influenza di Comunione e Liberazione o, all’ opposto, delle amministrazioni Pd si sente egualmente. Che c’ azzecca, per dirla in dipietrese, con la buona pratica medica? Mentre moltissimo ci azzeccavano i continui scandali, latrocini, nomine indegne, appalti truccati, deficit macroscopici che accompagnano da anni le vicissitudini del Ssn nella maggioranza delle Regioni. Eppure, ciò malgrado, fino a ieri centro destra e centro sinistra si sono trovati concordi nell’ affidare il potere finale di nomina alla longa manus dell’ assessore. Il fatto che il bilancio della sanità rappresenti dal 70 all’ 80% del totale del budget regionale spiega questa indegna manomissione. Ora, per la prima volta, mentre la destra riproponeva la libera potestà decisionale del direttore generale, sia pure sulla base di una terna di nomi, designati da una piccola commissione, del resto, facilmente gestibile (il direttore sanitario più due primari della stessa Regione), il Pd ha presentato un emendamento in cui fa proprio il valore essenziale di ogni pubblico concorso: la scelta deriva dalla graduatoria, formulata sulla base oggettiva dei titoli presentati. Il direttore generale deve solo validarla, ferme restando le sue funzioni di indirizzo, di esecuzione e di controllo del piano sanitario. Il coraggio della sinistra si è, però, fermato qui: la nomina dei cosiddetti “primarietti”, che dovrebbero semplicemente essere aboliti per la frammentazionee il disordine che introducono nelle strutture assistenziali, rimane nelle mani del direttore generale. La spiegazione risiede nel potere sindacale che è riuscito ad inserire queste figure spurie nel contratto. Ultima, ma non per importanza, la norma introdotta dalla destra che esalta il conflitto di interessi tra medici che operano, ad un tempo, in ospedale e presso clinichee studi privati. Finora il rapporto era regolato dalla già discutibile intra moenia. D’ ora in poi, se la legge restasse così, liberi tutti. La mattina in ospedale e per il resto dove si vuole, per il tempo che si vuole e il numero di pazienti che si riesce a strappare alla struttura pubblica, alla parcella che si vuole. Per di più col diritto di portarsi dietro infermieri, tecnici, analisti di provenienza ospedaliera. L’ hanno chiamata liberalizzazione!

Fonte: Repubblica del 14 giugno 2010

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