DOMANI i 5000 lavoratori della Fiat di Pomigliano d’ Arco, in rappresentanza simbolica anche dei 10.000 dell’ indotto, voteranno sull’ accordo di produzione proposto da Marchionne, approvato da Cisl e Uil ma respinto dalla Fiom. Se ne è parlato molto eppur tuttavia un aspetto importante è stato trascurato. È mancata, cioè, persino la percezione, al di là delle aspre condizioni imposte dall’ accordo, della grande vittoria ottenuta, la prima da molto tempo, riportando la Fiat alle soglie di un grande investimento nel Sud d’ Italia, in quell’ area napoletana che sembrava, dopo la chiusura di Bagnoli, condannata al lavoro nero, alla disoccupazione endemica, alla camorra. Il ritorno all’ onor del mondo, con una garanzia di sviluppo, di un forte nucleo operaio nel cuore malato dell’ area partenopea, sarebbe stato un tempo salutato con rosse bandiere al vento. Non averlo capito la dice lunga sullo stato odierno del sindacato, in particolare della Fiom e sul prevalere dei cascami di una ideologia estremista piccolo borghese, espressa dagli slogan dipietristie in questo caso, purtroppo, persino da Vendola che ha parlato dell’ accordo di Pomigliano come «morte della Costituzione».Così facendo, la pur indispensabile discussione sugli aspetti più gravosi delle proposte Fiat, invece di tradursi in una contrattazione sindacale anche durissima ma, pur tuttavia concreta, siè trasformata in un’ «opera dei pupi» : da un lato John Elkann e Sergio Marchionne che butterebbero 700 milioni di euro per organizzare un golpe anticostituzionale, dall’ altra il coro, altrettanto assurdo, di chi si sfiataa magnificare il patto come il paradigma ottimale di un nuovo sistema di relazioni industriali. In mezzo sta la realtà della fabbrica, la condizione degli operai, certo più dura ma a cui nessuno riconosce che, accettando l’ accordo, non solo difendono il proprio lavoro, ma svolgono una funzione nazionale perché riaprono la prospettiva di investimenti nel Mezzogiorno,che da una bocciatura verrebbero compromessidefinitivamente, a cominciare dall’ incerto destino di Termini Imerese, Questi lavoratori avrebbero bisogno non di un sindacato che punta le sue carte sulla magistratura perché impedisca l’ applicazione del patto che il referendum di domani con tutta probabilità convaliderà ma di un sindacato che si facesse carico delle difficili problematiche connesse al prolungamento del lavoro notturno, all’ aumento delle turnazioni, al cambiamento della stessa vita familiare, attraverso un esame attento delle nuove necessità (per esempio l’ accompagno dei figli a scuola che i mutamenti d’ orario potrebbero rendere difficili). Ma soprattutto andrebbe elaborata una piattaforma rivendicativa di carattere partecipativo, affinché l’ aumento della produzione e della produttività, che la pesante e rigorosa riorganizzazione comporta, non si risolva soltanto in una crescita dei profitti industiali, ma comporti un aggancio organico con una aumentata remunerazione del lavoro.Quanto alle due questioni più controverse c’ è tutto il tempo per rivederle e precisarle meglio, tanto più se la Fiom dopo il No odierno, si deciderà ad accettare il risultato del referendum, come insegna il precedente analogo della Piaggio. Comunque la sanzione in caso di sciopero per impedire l’ applicazione di un punto già sottoscritto, esso è paragonabile dal punto di vista di principio al codice di autoregolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici, su cui sovrintende una apposita Commissione di garanzia (alla Fiat una commissione paritaria). Quanto ai primi tre giorni di malattia (dal quarto paga l’ Inps) essi riguarderebbero i giorni coincidenti con picchi abnormi di assenteismo che a Pomigliano sono arrivati persino a punte del 50% (comunque anche su questi casi vigilerebbe la commissione paritetica). In proposito, peraltro, la Fiom avrebbe dovuto intervenire a suo tempo, e non apparire come chi vuol difendere questo andazzo anche per il futuro.
Fonte: Repubblica del 21 giugno 2010Colpo alla Costituzione o vittoria operaia?
L'autore: Mario Pirani - Socio alla memoria
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