Così nascono i circoli e le nuove forme di tutela basate sul conto dei click.
L’individuo frequenta la rete, accumula amicizie e poi gli viene voglia di riportare tutto sul territorio. Semmai qualcuno dovesse pensare che i social network hanno ammazzato l’ associazionismo, almeno in un caso, si deve ricredere. E prestare un po’ di attenzione alla straordinaria storia di LinkedIn, il sito di social business lanciato nel maggio del 2003 a Mountain View in California. Ora ha raggiunto settanta milioni di utenti in 200 Paesi, 11 milioni in Europa e ben un milione in Italia (di cui il 36% di sesso femminile, un record europeo). I professional italiani lo amano, pubblicano scrupolosamente il loro curriculum, aggiornano la scheda e chiedono continuamente amicizia agli altri per aumentare il loro capitale di relazioni sociali e migliorare la posizione nel mercato del lavoro. Ma sviluppano anche forum professionali che interessano le singole tribù: i dirigenti d’ azienda, i designer, i pierre, gli informatici, i consulenti. A dimostrazione, però, che questa dovizia di relazioni comunque non basta, LinkedIn ha sprigionato in Italia un’ ulteriore carica di socialità: sono già nati otto club in altrettante regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli, Toscana, Emilia, Marche, Sardegna) e ne sono in gestazione almeno un’ altra quindicina. Già dal nome (MilanIn, TurinIn, LiguriaIn, ToscanaIn, eccetera) i circoli conservano gelosamente il cordone ombelicale che li lega al sito-padre e non c’ è nuova iniziativa che deroghi. E ci si iscrive solo dopo essersi fatti le ossa su LinkedIn. Ma qual è la molla che spinge a tanto attivismo? In tempo di Grande Crisi e di ristrutturazione continua delle aziende non può che essere la percezione della propria debolezza sul mercato. Costruendosi un piccolo network l’ individuo si sente meno solo, meno in balia delle decisioni prese dalle grandi organizzazioni. Per estensione potremmo dire che è un moderno modo per «farsi sindacato di se stessi», privilegiando il rafforzamento delle proprie chance individuali e non i riti della rappresentanza collettiva. Che questo sia l’ approccio psicologico lo dimostra un piccolo episodio: LiguriaIn organizza un seminario chiamato «Kill the boss» dove si apprende non certo a uccidere il Capo, ma come raccontano i soci, «a rapportarti con chi può fare del male alla tua carriera». Il codice etico I rappresentanti dei club guidati dal coordinatore federale Stefano Tazzi si sono riuniti lo scorso week-end a Genova per la seconda assemblea nazionale e per elaborare addirittura un codice etico. «Abbiamo pensato che fosse necessario – racconta Alessandro Apollaro che ne ha curato la stesura – perché vogliamo che i rapporti di business che si intrecciano nei club siano pienamente trasparenti e orientati alla responsabilità sociale». Apollaro fa l’ arredatore e presiede il LiguriaIn, a Milano il presidente è un dirigente della Confcommercio (Pier Carlo Pozzati), a Firenze una manager privata (Laura Di Benedetto) e a Modena Anna Piacentini, la titolare di una società di comunicazione e organizzazione eventi. Ogni club in qualche modo si rapporta strettamente alla cultura del territorio, a volte per analogia altre per differenza: a Brescia zona a grande tradizione manifatturiera il club dei linkediniani punta sul terziario avanzato e la modernizzazione, i cagliaritani invece curano molto i rapporti tra l’ isola e il resto del Paese. Il club milanese è il più grande, ha più di 5 mila iscritti e tutti i lunedì organizza una riunione in un caffè della zona Loreto, il Pacino. Uno dei soci a turno racconta il suo caso professionale e le alternative che ha davanti, gli altri discutono e vagliano le soluzioni in campo. Il format si chiama «Presenta te stesso» e dopo Milano anche TurinIn lo ha adottato. Capita che frequentando i club si facciano affari. Si stipula qualche contratto di consulenza, si trova un socio, si assume la persona giusta. L’ individuo-rete Il fenomeno dei club italiani nati da LinkedIn è così interessante che una sociologa dell’ università di Brescia, Ivana Pais, lo sta studiando da due anni. E del resto c’ è ormai tutto un filone della sociologia economica che analizza come gli individui usino le reti per conseguire specifici obiettivi. «Il singolo si trasforma in un medium e così incrementa il proprio capitale sociale. Facilita il proprio flusso di informazioni, certifica le sue credenziali e rafforza comunque la sua identità. Coltiva, infine, l’ idea di poter influenzare per questa via i decisori. Mettendo insieme tanti legami deboli costruisce una piccola forza» dice Pais. Gli iscritti ai club hanno per lo più tra i 35 e i 44 anni, per tre quarti sono laureati e si dividono tra lavoro dipendente (dirigente, quadri o impiegati) e lavoratori autonomi (imprenditori e partite Iva). La percentuale di chi si iscrive a LinkedIn per cercare direttamente lavoro è minima ma il 41% ha già cambiato posto almeno una volta nella vita. E in fondo frequenta social network e associazioni perché si vuole tenere aperte tutte le strade e sa che in quella tipologia di professioni si può essere (o dover essere) nomadi più che altrove. Per questo all’ incirca un quarto di loro controlla LinkedIn tutti i giorni e altrettanti lo fanno per 2/3 volte la settimana. I più pigri (14%) lo consultano comunque almeno una volta al mese. Si comportano come gestissero un’ agenda elettronica interattiva, registrano le nuove amicizie, si danno strategie per allacciarne in una direzione più favorevole al proprio business o solo per conoscere e dialogare con altre esperienze aziendali. Navigare dentro LinkedIn assomiglia a un gioco di società allargato a un’ infinità di persone, non sviluppa l’ aggressività del Risiko e anzi fa premio la capacità di tessere alleanze. La Pais racconta un caso di simulazione molto interessante. Un tecnico che lavora in una fabbrica di occhiali perde il posto di lavoro. Su LinkedIn si mette alla ricerca dei suoi ex compagni dell’ istituto professionale per ottici e vede dove sono finiti, in quali aziende e che posizioni di lavoro occupano. Queste informazioni gli servono in primo luogo per avere termini di paragone tra la sua storia professionale e le altre, capire quanti hanno avuto successo e quanti invece sono rimasti al palo. Poi seleziona quelli con cui era in migliori rapporti e si muove per ristabilire relazioni con loro. Cerca poi di incrociare questa mappa di contatti con le informazioni che ha sulle aziende che producono lenti nella zona dove abita. Alla fine riesce a trovare la persona giusta che occupa la postazione strategica e che può aiutarlo a collocare con chance di successo un curriculum, ad ottenere un colloquio per essere assunto e così via. Sarà un caso che pare costruito a tavolino ma vale la pena di dire che questa simulazione è pienamente riuscita e il tecnico attraverso l’ utilizzo creativo di LinkedIn ha trovato un nuovo posto e un nuovo stipendio. Il 15% in più L’ orario dei nostri internauti del mercato del lavoro è molto flessibile e la disponibilità ad allungarlo è congenita: due terzi lavorano fino a 60 ore e il 15% anche di più. La frequentazione del social network è finalizzata a mantenere i contatti con i colleghi, trovare lavoro, confrontarsi. E anche trovarsi in associazione obbedisce agli stessi obiettivi. Si fa networking che è il modo più trendy per riproporre uno stile di vita che Nanni Moretti in una delle gag più riuscite di Ecce Bombo sintetizzava con il famoso «faccio cose, vedo gente». I LinkedIn boys sono dei centauri, ad animarli è quasi sempre uno spirito di mobilitazione individuale e anche nell’ approccio con la professione prevale una visione monistica, ma per cercare di governare la loro presenza sul mercato (del lavoro) sanno che altra strada non c’ è che tener d’ occhio il capitale sociale. Conoscere, aver informazioni sulle mosse delle grandi organizzazioni, essere al corrente delle mode manageriali del momento, sono tutte necessità che giudicano imprescindibili. A volte, infatti, partecipano ai dibattiti organizzati dai club anche solo per avere un’ infarinatura sul tema in discussione. Ne ricavano un piccolo manuale di conversazione, una mini-rassegna dei libri da leggere e dei siti da consultare. Una sorta di Bignami per sopravvivere nella società dell’ informazione e ottimizzare il tempo di apprendimento. Però se a chiamarli a uscire dalla rete e a frequentare il territorio è il confronto con la politica rifuggono. Il club MilanIn per le regionali 2010 ha organizzato un confronto con i candidati dei due principali schieramenti ma la serata non ha avuto il successo che gli organizzatori si aspettavano. Pranzi rapidi Per conoscere più persone nel tempo più breve i club hanno introdotto la tecnica gli speed dinner. Tutt’ altra cosa rispetto alle vecchie e tradizionali cene sociali delle associazioni di categoria o dei Rotary, che avevano (e hanno) agli occhi dei linkediniani un difetto: piazzavano i convitati a tavola e permettevano loro di scambiare idee e opinioni solo con i vicini di sedia: Gli speed dinner sono mutuati invece dall’ esperienza dei club per single. Ad ogni portata della cena c’ è una rotazione delle posizioni, si cambiano le persone che ci stanno davanti e quindi alla fine della serata se ne sono conosciute di più.
“LinkedIn” va sul territorio Sindacato individuale
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