• lunedì , 23 Dicembre 2024

Farmaci, meno ricerca e niente concorrenza

Qualche nostro lettore ricorderà la campagna condotta alcuni anni orsono, al fine di liberalizzare l’ apertura delle farmacie a tutti i laureati nella disciplina abolendo il numero chiuso vigente. Trattandosi di un’ aspirazione liberista, la lobby corporativa trasversale ebbe la meglio e ancora oggi vi sono 18.000 farmacisti titolari del proprio esercizio e 79.000 che, pur professionalmente abilitati, non hanno la possibilità di accedervi. L’ inserzione di una minima pressione concorrenziale si è avuta con l’ apertura di circa 3300 parafarmacie e punti vendita per prodotti da banco, sanitari senza obbligo di prescrizione e similari che hanno portato a 7000 posti di lavoro, una riduzione dei prezzi di vendita con un risparmio nel 2009 di 24 milioni a favore dei consumatori e nessun onere per lo Stato. Il valore dell’ esperienza induce a proseguire nella strada intrapresa. Se ne torna a parlare nell’ ultimo rapporto di Antonio Catricalà rivolto alla Commissione Sanità del Senato, dove sono in discussione ben dieci disegni di legge sul riordino dell’ esercizio farmaceutico. E’ sintomatico che questo “grand commis” non solo ribadisca gli argomenti a favore della liberalizzazione ma denunci come in molti disegni di legge presentati si tenda invece ad ampliare le esclusive, aumentando il potere di mercato delle farmacie, senza vantaggi per i consumatori. Per contro “consentire l’ accesso alla titolarità di farmacia ai farmacisti abilitati, senza l’ attuale limite numerico, aprirebbe spazi importanti per promuovere l’ iniziativa economica”. Catricalà si sforza altresì di rispondere al principale degli argomenti del protezionismo corporativo secondo cui senza un numero chiuso e una rete obbligatoria di siti autorizzati, sussisterebbe il pericolo che le zone a scarso sviluppo economico o troppo isolate, finiscano senza copertura. La rispostaèa un tempo storica ed economica: «All’ origine il sistema era concepito – e si giustificava – per consentire, in un Paese essenzialmente agricolo e poco sviluppato, la presenza capillare sul territorio delle farmacie. La garanzia legale di una sicura fonte di reddito per il titolare era funzionalea che il servizio di distribuzione dei farmaci potesse essere effettivamente prestato. Oggi tutto ciò non appare giustificato con riferimento alla maggior parte del territorio «mentre nelle zone residuali il problema potrebbe essere risolto sussidiando le sedi periferiche con un fondo alimentato da risorse provenienti dalle imprese operanti in regime di concorrenza. Il rapporto di Catricalà affronta poi per la prima volta alcuni risvolti negativi che si stanno rivelando col ricorso troppo spinto a favore dei generici (i farmaci non più coperti da brevetto venduti a prezzo più basso di quelli «firmati» con un netto risparmio per il Ssn). Se è vero che il sistema si sta estendendo nel mondo a causa dei deficit di bilancio del sistema sanitario, esso sta anche allontanando le grandi aziende dalla ricerca farmacologica soprattutto nelle patologie ad alta mortalità. In Italia già si assiste alla chiusura di centri di ricerca di grandi gruppi internazionali e alla contrazione delle ricerche nei gruppi minori. «Il tema della costituzione di un clima favorevole alla ricerca», sostiene Catricalà, impone, quindi, «una nuova regolazione dei margini di settore» (un prolungamento del periodo coperto da brevetto?) che permettano di remunerare gli ingenti costi della ricerca attuata dai produttori originari. Inoltre la cosiddetta «bioequivalenza» tra prodotti generici e originali, contenenti lo stesso principio attivo non significa affatto «equivalenza terapeutica». E’ infatti ammessa una soglia dall’ 80% in meno al 125% in più di «intervallo di equivalenza», il che può portarea seri inconvenienti terapeutici. Solo il medico dovrebbe, quindi, essere autorizzato alla prescrizione. Il protezionismo colpisce anche dove meno te lo aspetti.

Fonte: La Repubblica del 29 novembre 2010

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