Società neonate e pagate oro.Gli analisti:nessun tonfo.
Offrire oltre 5 miliardi di dollari più 700 milioni di bonus destinati ai dirigenti per una società nata nel 2008 che quest’ anno dovrebbe fatturare 500 milioni, era parsa una pericolosa esagerazione a molti azionisti di Google. Ma a quanto pare Andrew Mason, il 29enne fondatore di Groupon, non ha troppa fretta di unirsi al piccolo esercito di giovani imprenditori e manager del web che sono diventati miliardari: secondo il Chicago Tribune Mason che in quella città ha studiato e costruito la sua impresa e i suoi soci hanno detto no al gigante californiano. Forse perché ipotizzano di andare direttamente sul mercato con un’ offerta pubblica o perché hanno trovato investitori pronti a mettere sul piatto le centinaia di milioni di dollari necessari per crescere ancora, senza sottrarre loro il controllo della società. Che domani potrebbe valere anche di più. Possibile? Secondo alcuni è meglio non formulare giudizi affrettati: i retroscena di questo affare mancato non sono ancora noti Google non ha mai parlato e potrebbero riservare sorprese. Secondo altri il caso Groupon è un’ ulteriore conferma che nella Silicon Valley e dintorni: come detto Groupon e Mason sono a Chicago sta crescendo un’ altra pericolosa «bolla tecnologica» come quella degli anni ‘ 90 che esplose provocando la recessione del 2001. I casi sono numerosi, vengono segnalati da tempo dagli analisti e il New York Times ieri li ha messi in fila: non solo Twitter di Evan Williams – un’ impresa celebre a livello mondiale da un paio d’ anni – valutata più di 4 miliardi di dollari, ma anche una miriade di nuovi protagonisti che hanno creato servizi innovativi, soprattutto attorno alle reti sociali come Facebook. Società come GrouMe, un’ applicazione che offre un servizio di messaggistica per i gruppi sui cellulari, Path condivisione di foto sull’ iPhone o la piattaforma di microblogging Tumblr, stanno raccogliendo di nuovo dagli specialisti del venture capital decine di milioni di dollari di investimenti. Ancora più significativi i casi di Foursquare sito web e applicazione mobile per connettersi con gli amici in base al luogo nel quale ci si trova, corteggiatissima anche se è stata fondata solo un anno fa perché ha già 4 milioni e mezzo di utilizzatori e, soprattutto, quello della società di videogame online Zynga: fondata nel luglio del 2007 da Mark Pincus, che le ha dato il nome del suo bulldog inglese che fa anche da logo aziendale, la società di San Francisco è valutata oltre 5 miliardi di dollari: più della capitalizzazione di Borsa della Electronic Arts, il leader mondiale dei videogiochi. Come giustifica una simile «corsa all’ oro» in un Paese immerso in una crisi profondissima, con una «grande recessione» che ha fatto salire la disoccupazione quasi al 10 per cento, mentre le famiglie continuano a impoverirsi? Spaventati, alcuni venture capitalist della West Coast hanno deciso di rallentare i loro investimenti nelle start up informatiche proprio perché ritengono l’ esplosione delle quotazioni degli ultimi sei mesi insostenibile. Ma c’ è anche chi pensa che, nonostante qualche eccesso, questa fase sia molto diversa dalla «galoppata» degli anni ‘ 90 quando molte start up ricevettero non decine ma centinaia di milioni di dollari pur non avendo un business plan credibile. Imprese come Pets.com pioniere della vendita di cibo per animali via Internet, che dieci anni fa in appena 268 giorni visse la parabola dai fuochi d’ artificio della quotazione alla Borsa tecnologica Nasdaq, al fallimento. Stavolta il tonfo, sostengono molti analisti, non ci sarà perché, anche se andare in Borsa non è più così facile, c’ è a portata di mano un soffice cuscino: i 90 miliardi di dollari di liquidità dei giganti del settore – Google, Microsoft ed Apple – ricchi e alla ricerca di nuove idee. Sono loro che acquistano a raffica le start up più promettenti o le finanziano. Living Social, il principale concorrente di Groupon, sta per ricevere 175 milioni di dollari da Amazon. In realtà questa nuova fase di crescita ha una sua logica: i soldi vanno verso imprese e applicazioni utilizzate dai social network che promettono di trasformarsi da quello che sono oggi, uno straordinario fenomeno sociale e di costume, in un’ enorme realtà commerciale che costringerà interi settori produttivi a rivedere il loro approccio al mercato. Un processo che ha un nome e una faccia: Facebook che ha ormai superato il mezzo miliardo di utenti e Mark Zuckerberg, l’ imprenditore geniale e discusso che confessa al Financial Times: «Temevo di non poter diventare come Google, ma ora so che ce l’ ho fatta: quello che avete visto finora è solo l’ inizio». Il suo nuovo inizio si chiama Facebook Deals, il servizio appena lanciato che estende la logica della rete sociale al commercio locale. L’ acquisto di Groupon doveva essere la contromossa di Google proprio su questo lucroso fronte. Per ora sembra averla spuntata Zuckerberg. «E quando un investitore come Accel Partners – dice un venture capitalist – vende a privati per 500 milioni di dollari azioni Facebook società non quotata pagate cinque anni fa 2 milioni, è facile capire perché altri decidono di rischiare grosso sulle start up più promettenti».
Se i social network fossero una grande bolla
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