Adesso tocca a Marchionne. Con il referendum cui hanno partecipato in massa, i dipendenti della Fiat la loro parte lhanno fatta: coltivando la speranza che sì serva davvero a conservare il posto di lavoro, si sono responsabilmente fatti carico delle dure conseguenze che la globalizzazione produce per la nostra economia e hanno accettato una disciplina contrattuale che pur non essendo quella Waterloo dei diritti di cui parla la Fiom certamente riequilibra a favore dei doveri la bilancia degli obblighi e delle concessioni. Lo avevano già fatto a Pomigliano, dove alcuni abusi (assenteismo) e alcune rigidità nellorganizzazione del lavoro hanno sempre tenuta bassa la produttività. Lhanno rifatto a Mirafiori, dove pure lorgoglio di rappresentare la punta di diamante della classe operaia italiana rappresentava un freno. Considerato che in Italia sono ben pochi, classe politica in testa, coloro che hanno capito per tempo e per intero il significato dei cambiamenti epocali che la globalizzazione e la rivoluzione della tecnologia digitale hanno prodotto nella competizione tra sistemi industriali, tra paesi e tra grandi aree del mondo, ai lavoratori della Fiat ora non si può chiedere di più se non di rispettare quegli accordi.
Viceversa, è alla Fiat e in particolare al suo massimo dirigente che va chiesto di dimostrare, adesso, che sta nella produttività del lavoro il male oscuro del gruppo automobilistico. Perché, è bene ricordarlo, Fiat-Lancia-Alfa hanno consuntivato un 2010 disastroso: le immatricolazioni del gruppo in Italia sono scese del 16,7% (contro il 9,2% complessivo) e in Europa del 17% (contro 4,9%), portando così le quote di mercato nazionale dal 32,7% al 30% e di mercato continentale dall8,7% al 7,6%. Possibile che sia colpa solo dei lavoratori? Non sarà che a fianco alla questioni di produttività del lavoro sollevate da Marchionne, esiste anche forse soprattutto il problema della capacità dellazienda e dei suoi modelli di conquistare la pur calante domande italiana ed europea? Come in effetti dimostrerebbe il fatto che ad andar male sono stati i marchi Fiat e Lancia, privi di nuovi prodotti (pur a suo tempo promessi) capaci di suscitare lattenzione dei consumatori e incontrare i loro gusti, e non quello Alfa Romeo, che probabilmente ha tenuto (stessa quota di mercato del 2009) grazie alla nuova Giuletta. Marchionne ha promesso di colmare le lacune di modelli nuovi e innovativi con un piano dinvestimenti in Italia da 20 miliardi. Bene. Ed è stato opportuno offrirgli quelle condizioni di contrattazione del lavoro necessarie a garantirlo. Ma siccome non ha mai ritenuto di fornire molti dettagli e, anzi, si è offeso quando gli sono state rivolte domande in merito, prendendole come atti di sfiducia adesso è venuto il momento di essere di trasparenti. I lavoratori di Pomigliano e Mirafiori lo meritano.
Rivoluzione Fiat:e adesso cosa succede?
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