• martedì , 24 Dicembre 2024

A Milano non si vince facendo terrorismo contro gli stranieri

Campagna elettorale della coalizione di centro destra a Milano: è possibile ribaltare l’esito del primo turno trattando gli elettori come degli imbecilli, pretendendo poi che votino Letizia Moratti? Questo è il problema vero di una campagna elettorale in caduta libera: per essere credibili non si può raccontare che Milano si trasformerà in una “zingaropoli” o evocare l’immagine minacciosa di una moschea. Una forza politica che si propone di governare una grande città europea, come Milano, ha il dovere di proporre delle soluzioni – valide o sbagliate che siano – per i problemi dell’immigrazione, non limitarsi a minacciare veti e preclusioni al dunque sterili ed impotenti, facendo leva sui sentimenti più irrazionali e cupi dei cittadini anziché educarli ad accettare e a convivere con i difficili, complessi ma ineludibili temi della modernità, tra i quali campeggia la questione dell’impiego degli stranieri in un Paese come il nostro che presenta degli enormi squilibri demografici con riflessi importanti sul mercato del lavoro.
I governi di centro destra si vantano, giustamente, di aver portato avanti una politica dell’immigrazione che tiene il più possibile insieme permesso di soggiorno e lavoro, nel contesto di una logica più generale di integrazione. Bene. Secondo i dati ufficiali del ministero del lavoro e delle politiche sociali (elaborati su statistiche Istat) erano residenti, nel 2010, in provincia di Milano 204.437 stranieri maschi e 203.405 femmine. Si prevede che, nel 2015, gli stranieri residenti saliranno rispettivamente a 284.862 e a 289.429 per arrivare, nel 2020, a 371.339 e a 400.205. Se questa è la forza dei numeri che cosa deve fare un’amministrazione responsabile? Credo che un Paese civile debba consentire – proprio per percorrere il sentiero stretto e impervio dell’integrazione – a tante persone che sono venute da noi per cercare condizioni di vita più dignitose, di poter pregare il loro Dio e manifestare, liberamente nel rispetto delle nostre leggi, la propria cultura, dal momento che integrazione non può significare conversione forzata alla religione cristiana dei tanti residenti musulmani.
Del resto il tema della moschea è stato al centro delle campagne elettorali pure in altre città. Anche a Bologna, per esempio, al candidato sindaco del Pd Virginio Merola (eletto al primo turno per il rotto della cuffia) è stato rimproverato di aver sostenuto, da assessore in una precedente amministrazione, la costruzione di una grande moschea. Da buon opportunista Merola ha subito ripudiato quell’idea anche se, nel 2020, gli immigrati residenti in provincia di Bologna, supereranno – maschi e femmine sommati – largamente le 200mila unità. Ovunque, infatti, il fenomeno dell’immigrazione è destinato – almeno nel medio periodo – ad ampliarsi per fare fronte al fabbisogno di manodopera (al netto quindi degli effetti prodotti dagli eventi recenti dei Paesi nordafricani). Entro il 2020 usciranno dal mercato del lavoro otto milioni di italiani (per pensionamento ed altro). Le coorti delle nuove generazioni – anche ammesso e non concesso che si adattino a svolgere quel lavoro manuale che ora viene rifiutato – non saranno sufficienti ad offrire, specie nelle aree sviluppate del Paese, il necessario ricambio. Sarà difficile poterlo fare anche incrementando il numero dei lavoratori stranieri. Basti pensare che tra il 2005 e il 2010 – secondo uno studio del Censis – sono usciti dal mercato del lavoro 848mila persone che svolgevano attività manuali e sono entrati 713mila stranieri.
Il trend degli stranieri è proseguito anche durante la crisi. L’Unioncamere, all’inizio del 2010, prevedeva – sulla base di una verifica con le imprese – una richiesta di lavoratori stranieri – non stagionali – di 20mila unità in Lombardia nei settori dell’industria e dei servizi (a cui vanno aggiunti 8,5mila stagionali). Quanto alle persone di etnia Rom (i c.d. zingari), si tratta indubbiamente di una problema. Dall’Unione europea vengono direttive di integrazione e di non discriminazione, che non sempre è agevole realizzare. Anche l’amministrazione di Letizia Moratti aveva affrontato il caso con equilibrio tra rigore e integrazione. Perché allora brandire – adesso e in modo propagandisticamente minaccioso – un tema che potrebbe essere affrontato come un buon risultato della giunta uscente?
La settimana scorsa, per motivi istituzionali, sono stato a Budapest, ospite del Parlamento ungherese. In quel piccolo Paese i c.d. zingari sono 700mila. Non aggiungo altro. Anche la Lega Nord dovrebbe chiedersi se lo scarso successo elettorale non dipenda dalla stucchevolezza dei suoi slogan anti-stranieri. Così dovrebbero fare tutti quelli che sono convinti della (discutibile) “presa” elettorale delle campagne leghiste. Ho sentito con le mie increduli orecchie un grande e bravo ministro come Giulio Tremonti – tra i più quotati in Europa e nel mondo – fare alcune sgradevoli battute in un comizio in Piazza Maggiore a Bologna. Prima ha ironizzato sulle origini meridionali del cognome Merola; poi ha affermato che, di questo passo, il prossimo sindaco di Bologna si sarebbe chiamato Alì. Non si perdono anche così le elezioni?

Fonte: Occidentale del 23 maggio 2011

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