Lo sapevamo ma la conferma è arrivata puntuale. Il ponte di quattro giorni che ha aperto il mese di giugno si è caratterizzato sin dalle prime ore dal formarsi di code nelle principali autostrade. Ma non eravamo in uno dei momenti economici più difficili di questi anni? Non è in corso uno slittamento verso il basso dei redditi e in aumento, invece, la vulnerabilità sociale di soggetti mai stati a rischio? Come si spiega, allora, la contraddizione che vede da una parte il martellamento della crisi e dall’ altra la disponibilità a spendere da parte di un numero di concittadini tutt’ altro che esiguo? Come ben sappiamo la benzina è costosa e, non esistendo i motel yankee, dormir fuori in Italia è altrettanto e forse più costoso. È vero che molti dei partenti raggiungono la seconda casa, ma comunque mettersi in fila al casello per andare nella località prescelta per il ponte presuppone una scelta meditata. I sociologi ci avvertono però che i consumi non sono più legati meccanicamente alla capacità di spesa e i desideri alla fine prevalgono sui bisogni. Tradotto: il ponte va fatto anche a scapito di tagli su altre voci del bilancio familiare. Tutte le considerazioni di buon senso che possiamo fare non attenuano una considerazione di base: tutto sommato conosciamo ancora relativamente poco il funzionamento di una società complessa come quella italiana. Veniamo da maggio, mese dei rapporti e delle relazioni, una dopo l’ altra abbiamo ascoltato le diagnosi Istat/Confindustria/Banca d’ Italia, però resta l’ impressione che spesso si ripetano le stesse cose, che si illumini quella parte di società che già conosciamo mentre sul resto prevalga il buio. Giuseppe De Rita pensa che in realtà l’ economia italiana sia «una valigia a doppio fondo», che in sostanza si sia creato un sommerso del sommerso. Un cuscinetto di ricchezza prodotta che sfugge alle statistiche, a qualsiasi rilevazione e quindi anche alle analisi. Prendiamo, ad esempio, gli extracomunitari che vivono in Italia e che si sono relativamente stabilizzati. Conosciamo pochissimo dei loro consumi e dei loro circuiti commerciali. Li vediamo spesso girare su vetture Fiat del passato o su auto più nuove ma vistosamente ammaccate. È difficile che la fornitura di quelle auto passi attraverso il mercato regolare dell’ usato, molto probabilmente c’ è una rete-ombra che le acquista da meccanici e carrozzieri e poi le mette in commercio. Che esistano canali paralleli lo dimostra anche una prassi segnalatami dai ricercatori dell’ università di Brescia. Alla stazione cittadina esistono due uscite per i taxi, a sinistra c’ è il parcheggio regolare mentre a destra ci sono degli stranieri ai quali ci si deve rivolgere per convocare immediatamente una vettura e usufruire del servizio taxi. Uscendo dai mercati paralleli per stranieri per capire dove sta «il doppio fondo» dovremmo forse ragionare sulle novità che riguardano il ciclo produttivo delle merci. Ormai per ottimizzare processi e costi la filiera si è articolata in mille spezzoni, ognuno dei quali si è specializzato e fornisce un solo elemento o prestazione. E il numero dei fornitori di ogni singola impresa aumenta di continuo. Persino per le famiglie succede così, ognuna ha via via costruito una propria rete di fornitori che gli assicura servizi saltuari o flessibili. Si va dalle ripetizioni per i figli ai servizi di cura delle seconde case, dai lavoretti di manutenzione dell’ appartamento al babysitteraggio. Senza farla lunga e senza la presunzione di spiegare con piccolissimi esempi l’ universo-mondo, è chiaro che una frantumazione della fornitura e del lavoro si presta a formare quelle che De Rita definisce come «le mille intercapedini», schegge di Pil che rimangono sotto traccia. Forse quello che abbiamo detto è troppo poco per spiegare il paradosso delle vetture in coda, ma sul piano del metodo serve a dire che dovremo occuparci prevalentemente di ciò che non sappiamo.
Fonte: Corriere della Sera del 3 giugno 2011La crisi e quelle lunghe code ai caselli
L'autore: Dario Di Vico
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