• domenica , 24 Novembre 2024

Per professionisti e imprese l’idea di una crescita parallela

Dalla Camera di Commercio le proposte di Carlo Sangalli: «Facciamo una consulta per le professioni».L’incontro milanese e la proposta di una «casa» per le partite Iva.
Aprire un dialogo tra i professionisti e le forze produttive di Milano. È questo l’ obiettivo che si pone la Camera di Commercio e ci sono tutti i presupposti perché venga centrato. I lavori di avvicinamento sono iniziati con la ricerca sulle professioni affidata al sociologo Aldo Bonomi, sono proseguiti con il convegno di ieri a cui hanno partecipato i rappresentanti degli Ordini e delle associazioni e troveranno uno sbocco in due iniziative che ieri il presidente Carlo Sangalli ha illustrato in anteprima. La creazione di una Consulta delle professioni e l’ apertura di un Centro servizi per le partite Iva. Milano vuole rinverdire il suo ruolo di distretto del terziario avanzato italiano e perciò giustamente si interroga su come utilizzare al meglio il monte-competenze rappresentato dai 200 mila professionisti che operano nell’ area. Avvocati, architetti e commercialisti escono dalla Grande Crisi un po’ malconci anche sotto il Duomo. Aumenta il numero di quanti esercitano la libera professione (a Milano ci sono 21.700 tra avvocati e praticanti) ma cala il reddito medio con il rischio di dover osservare una spietata concorrenza al ribasso, che tra gli ingegneri arriva anche oltre il 60%. Cambia anche la composizione di genere: il 45% degli avvocati milanesi è donna e la percentuale sale a quota 55 tra i praticanti. Il trend è omogeneo anche tra gli architetti e un po’ in tutto il resto delle specializzazioni. Se una volta, ha sottolineato Stefano Calzolari (Ordine degli Ingegneri), la conoscenza era un ascensore sociale, oggi rischia di non esserlo più e anzi si diffonde quello che Paolo Giuggioli (Ordine degli Avvocati) ha definito come «un diffuso senso di declassamento e di perdita di prestigio sociale». Tra i giovani, ha aggiunto Bonomi, l’ identificazione con il precariato sale oltre il 60% con una ulteriore accentuazione nel campo delle professioni più tradizionali come avvocati, architetti e psicologi. Che fare, allora? La proposta che viene dalla Camera di Commercio, ed è stata ribadita dal segretario generale Pier Andrea Chevallard, è quella di legare la riscossa dei professionisti ai processi di rispecializzazione delle imprese del made in Italy che per instradarsi lungo «la via alta della competitività» hanno bisogno di un terziario qualificato ovvero tanta innovazione, creatività e internazionalizzazione. I professionisti milanesi vogliono essere protagonisti di questa sfida di cambiamento o preferiscono continuare a guardarsi l’ ombelico? Su questo interrogativo è vissuto il convegno di ieri. Daniela Volpi (Ordine degli Architetti) ha sottolineato con dispiacere come «tra i primi 50 studi di architettura europei non ce ne sia nemmeno uno italiano» mentre Sergio Bologna (Acta) ha sostenuto che «il modello degli Ordini non è appropriato per le nuove professioni del terziario avanzato». L’ impressione generale è che il grosso dei professionisti milanesi non voglia «arrendersi» alle ragioni dell’ economia, abbia timore di legare la ripartenza del proprio business ai processi di crescita dell’ economia lombarda. Da qui un certo pudore lessicale ad utilizzare la parola «terziario», quasi contaminasse il sogno di una revanche del vecchio professionalismo. E non è un caso che la ricerca di Bonomi segnali il riaffiorare di «una voglia di corporazione» che può concretizzarsi nella richiesta di istituzione di nuovi albi o Ordini. Per rompere gli schemi e legare più strettamente le professioni milanesi ai destini della città (Expo compresa) un contributo importante può venire dalla creazione del Centro servizi per le partite Iva. Non esiste ancora un progetto chiavi in mano ma l’ intenzione è creare almeno un hub della conoscenza che venga incontro alle esigenze dei professionisti più giovani ed evitare così che l’ unico consiglio che un senior sappia dargli sia: «Ma perché non te ne vai a Berlino o a Londra?».

Fonte: Corriere della Sera del 14 giugno 2011

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