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Lavoro, l’emergenza e i pregiudizi

Il governo Monti può partire dalle leggi ereditate dal precedente esecutivo.
Arriva, con la fase due, il momento della verità per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro. Il Governo Monti, che giustamente non vuole ripetere la sceneggiata della concertazione con le parti sociali, può partire dalle leggi ereditate dal precedente esecutivo. Cominciamo dal “collegato lavoro” ( la legge 183 del 2010) che contiene una delega recante i principi e le direttive per la riforma degli ammortizzatori sociali: un dispositivo assolutamente bipartisan perché consiste nel medesimo testo di un articolo di una legge del 2007 (l’atto del Governo Prodi che recepì il protocollo sul welfare); il ministro Sacconi si è limitato soltanto a prorogare i termini per l’esercizio della delega stessa. Il problema, dunque, non è quello del contesto normativo.
Sono almeno tre legislature che il Parlamento vara delle norme di delega a cui non viene data attuazione per mancanza delle risorse necessarie ad ampliare l’area dei soggetti tutelati e delle prestazioni riconosciute. A seconda di come si combinano tra loro questi due parametri (soggetti e prestazioni) si tratta di reperire, secondo stime attendibili, un ammontare finanziario aggiuntivo compreso tra 3,7 e 11 miliardi l’anno.
Durante la fase più acuta della crisi il Governo Berlusconi è stato in grado di mobilitare, d’intesa con le Regioni, 8 miliardi per il finanziamento della Cig in deroga (salvando nel complesso 700mila posti di lavoro). Ma questa esperienza di carattere straordinario non può acquisire una funzione permanente e strutturale. Le imprese e i lavoratori che non fruiscono di ammortizzatori sociali, dovranno sostenerne, almeno in parte, gli oneri (come avviene per quanti ne godono) mediante nuove modalità assicurative che individuino i requisiti per l’accesso, le aliquote contributive di finanziamento, nonché gli enti pubblici e privati incaricati della gestione. Anche per quanto riguarda l’articolo 18 dello Statuto, il precedente Governo ha assunto degli impegni con la Ue, tuttora validi, che indicano il percorso da seguire, limitatamente ad “una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato”.
A tal proposito è bene essere chiari: il Governo Monti non pensi di poter revisionare l’articolo 18 applicando la nuova disciplina solo ai futuri occupati, senza superare quindi il dualismo del mercato del lavoro. Se modifiche devono esserci (ed è indispensabile che ciò avvenga) devono valere per tutti. Vi sono poi altri aspetti inaccettabili di un dibattito troppo attento alle forze che sostengono il Governo sulla frontiera di sinistra. Dove sta scritto che si debbano ‘potare’ i diversi rapporti di lavoro istituiti dalla legge Biagi? E’ un pregiudizio ideologico ritenere che i contratti flessibili (job on call, staff leasing, a termine, eccetera) non siano strumenti giuridici più idonei a regolare specifiche situazioni non riconducibili a modelli forzatamente standard, ma assurgano addirittura alla causa principale della precarietà. Quanto alla soluzione, suggestiva ma ‘facilona’, del ‘contratto unico’ a tutela crescente nel tempo, il suo ruolo potrebbe essere utilmente svolto dal contratto di apprendistato.

Fonte: Quotidiano.net del 4 gennaio 2012

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