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Le imprese senza più alibi

Il nuovo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è uno degli industriali che hanno contribuito a reinventare la chimica italiana. Dopo le grandi delusioni pubbliche e private della chimica di base, aziende come la sua Mapei hanno ridisegnato il business. Forti della tradizione di specializzazione della nostra industria migliore hanno saputo rinnovarla in un settore totalmente aperto alla competizione internazionale. Grazie a questo movimento abbiamo occupato numerose nicchie di mercato a buon valore aggiunto e sono nate delle multinazionali, come per l’appunto la Mapei, che ormai non si possono più definire solo tascabili. Gli imprenditori italiani hanno dunque scelto come leader un uomo all’avanguardia nel business e che nel frattempo ha avuto modo di ricoprire importanti ruoli associativi in Italia e in Europa. Al suo antagonista, Alberto Bombassei, galantuomo e imprenditore moderno quanto Squinzi, va l’onore delle armi. Le idee che ha messo in circolo verranno sicuramente buone.
Squinzi, dunque, avrà bisogno di tutto il suo bagaglio di esperienze perché la prova che lo aspetta è delle più ardue. Eredita l’organizzazione di rappresentanza d’impresa più titolata e accade in un momento in cui si vanno ridefinendo i ruoli tra mercati e democrazie, istituzioni comunitarie e sovranità nazionali, élite economiche e politica, protagonismo delle parti sociali e prerogative del Parlamento. La storia si è messa a correre e a nessuno è concesso di star fermo per un giro, tanto più a chi con le sue decisioni può cambiare il destino di migliaia di persone e delle loro famiglie.
Il caso poi ha voluto che l’avvicendamento alla testa della Confindustria avvenisse in parallelo con la riforma del lavoro predisposta dal governo Monti. Con tutti i difetti che si possono individuare nel testo Fornero e nell’attesa degli aggiustamenti che il Parlamento vorrà apportare, sarebbe però ipocrita da parte degli industriali non riconoscere che il governo ha messo mano coraggiosamente all’ultimo tabù, l’articolo 18. Accogliendo in questo modo una storica istanza avanzata a più riprese dagli inquilini che si sono succeduti ai piani alti di Viale dell’Astronomia. Adesso però che siamo diventati più simili ai nostri partner e concorrenti non ci sono più alibi e gli imprenditori italiani sono chiamati a una straordinaria prova di responsabilità sociale. La crescita dipende in larga misura dalle loro scelte, non sarà certo la spesa pubblica a farla ripartire.
Nessuno chiede alla Confindustria di rinunciare a priori al suo ruolo sindacale, ma dagli imprenditori il Paese si aspetta molto di più che una continuativa azione di lobby. Chiede che riprendano ad investire, che patrimonializzino le loro aziende, che partecipino ai destini nazionali, che ritrovino la giusta intensità anche sul terreno delle motivazioni. Per superare la crisi c’è bisogno di uomini e donne che alla testa delle loro imprese sappiano rischiare, conquistare i nuovi mercati, magari riportare qualche azienda in Italia. Sappiamo che non è facile, che si corre controvento e che due muri portanti della nostra industria, come l’auto e gli elettrodomestici, proprio di questi tempi minacciano più o meno dichiaratamente di andarsene dall’Italia. Ricette pronte per dissuaderli non ce ne sono, tocca però a Squinzi e alla squadra che sceglierà contribuire ad elaborarle.

Fonte: Corriere della Sera del 23 marzo 2012

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