La svolta negativa nei rapporti innescata quando l’ esecutivo ha fatto propria la mediazione dei tre segretari Alfano-Bersani-Casini.Abbiamo sostenuto la riforma nella versione originaria. Poi c’ è stato un certo sbilanciamento Angelino Alfano Pdl Ho trovato le dichiarazioni di Confindustria sovratono ma non credo possano aver inciso sullo spread Susanna Camusso Cgil Fronte comune Il pronunciamento negativo sulla riforma è andato ben al di là di un territorio e la Confindustria si è trovata di nuovo unita Dalla richiesta di «discontinuità» alle accuse: ora i pontieri in campo.
Qualche mese prima della caduta del muro di Berlino, per la precisione nel luglio 1989, dall’ università Bocconi di Milano uscì una laureata d’ eccezione: Emma Marcegaglia. Quella che un giorno sarebbe stata la prima donna a presiedere la Confindustria ebbe come relatore il professor Vittorio Coda e presentò una tesi di economia aziendale che potremmo definire “captive”: «Il settore siderurgico, mutamenti in atto e ruolo del gruppo Marcegaglia». Solo sette anni dopo Emma conobbe anche l’ onore di essere insignita dell’ ambito titolo di «bocconiano dell’ anno», assegnatole dall’ associazione dei laureati dell’ ateneo di via Sarfatti. I legami «ambientali» tra Marcegaglia e Mario Monti vengono dunque da lontano, nel 1989 l’ attuale premier insegnava economia politica alla Bocconi e spesso gli è capitato di ricordare Emma come una delle sue migliori allieve. Mai Monti si sarebbe immaginato che proprio lei avrebbe criticato a sangue la riforma del lavoro («very bad») con il più intransigente dei giornali europei, quel Financial Times che in questi giorni non sta perdonando nulla al premier e all’ Italia. Dopo aver predetto la fine della luna di miele tra il nuovo inquilino di palazzo Chigi e i mercati (titolo in prima pagina: Honeymoon ends) e anticipato de facto la dinamica negativa dello spread, ieri il quotidiano che si stampa nella City persino nella pagina delle lettere si è preso burla di noi, pubblicando la foto di una Ferrari parcheggiata sulle strisce nel centro di Milano. Se però ragioniamo con freddezza e azioniamo il tasto «rewind» arriviamo alla conclusione che Monti è potuto salire a palazzo Chigi anche in virtù dell’ azione della Marcegaglia. Perché, mentre sul Colle il presidente Giorgio Napolitano preparava le condizioni per il cambio, nella società civile a premere per detronizzare Silvio Berlusconi c’ erano le associazioni del cosiddetto Manifesto delle Imprese. Confindustria, Associazione bancaria, Rete Imprese Italia, assicurazioni e Alleanza delle cooperative, un club che si riunisce nei momenti topici – anche ieri pomeriggio lo ha fatto – e i cui timonieri provetti sono due, Emma e l’ avvocato-banchiere Giuseppe Mussari. E da loro, prima degli altri, quando si seppe che al Cavaliere sarebbe succeduto l’ ex rettore della Bocconi, arrivarono parole di plauso. Emma fu ancor più felice quando accertò che, assieme a Monti, sarebbe arrivato da Milano fino alle stanze del governo anche Corrado Passera, immancabile ai grandi appuntamenti confindustriali e banchiere dei cui consigli la presidente si è avvalsa in molte circostanze. Ancora al convegno di metà marzo nell’ hangar della vecchia Fiera di Milano il barometro dei rapporti tra l’ ex allieva Emma e il professor Mario sembrava segnare sole pieno. L’ assise non verrà ricordata negli annali tra le più brillanti e adrenaliniche ma gli industriali riempirono di applausi il presidente-professore, lui non risparmiò loro qualche tirata d’ orecchi e soprattutto davanti a una platea non proprio Fiat-solidale fece, a sorpresa, l’ elogio sperticato di Sergio Marchionne. Emma in cuor suo avrebbe preferito tutt’ altro, ma ascoltò, masticò amaro e sorrise. Solo con l’ arrivo in agenda della modifica dell’ articolo 18 le cose si sarebbero complicate. Per un lungo periodo non è stato facile, anche per i giornalisti più avvezzi alle segrete cose di Viale dell’ Astronomia, capire fino in fondo la “vera” posizione della Confindustria. Nel dibattito per la nuova presidenza Alberto Bombassei ne chiedeva a gran voce la modifica, il suo antagonista Giorgio Squinzi invece sosteneva che se fosse stato per lui non se ne sarebbe nemmeno parlato. La cosa singolare si rivelò via via un’ altra: Emma nelle consultazioni con il governo e i sindacati sosteneva la necessità di riscrivere la flessibilità in uscita ma per la sua successione in Confindustria era schierata per la “colomba” Squinzi. Un rebus. La vera svolta negativa dei rapporti tra Confindustria e governo sarebbe arrivata però solo quando Mario Monti, facendo sua la mediazione dei tre segretari Alfano-Bersani-Casini, diede semaforo verde all’ ultima versione della riforma Fornero. A quel punto la Marcegaglia capì che non avrebbe più potuto reggere alla pressione della base, che ormai da qualche settimana aveva cominciato a guardare con contrarietà alle nuove norme sul lavoro. La verità è infatti che sia per le associazioni territoriali che avevano sostenuto Bombassei sia per quelle pro-Squinzi il compromesso tra riduzione della flessibilità in entrata e spiragli alla modifica dell’ articolo 18 non era assolutamente digeribile. A palazzo Chigi tutto ciò è stato catalogato come «rivolta del Nord Est» perché si sa che in Veneto non riescono a protestare, sanno solo incazzarsi. Ma in realtà il pronunciamento negativo è andato ben al di là di un territorio e la Confindustria si è trovata di nuovo unita, anche se all’ opposizione del governo che aveva voluto. Un’ opposizione che nei giorni caldi si è nutrita di parole d’ ordine di questo tenore: «Una volta avevamo due tipi di flessibilità, quella in entrata e la mobilità verso la pensione. La Fornero ce li ha tolti tutti e due». Per Emma che sta per terminare il suo mandato è stato come disporre di un calcio di rigore. Se non avesse tirato una botta tremenda (vedi Financial Times) ma avesse preferito un cucchiaio alla Totti sarebbe stato meglio. Ma tant’ è, la comunicazione non è una scienza esatta. Ora dopo i giorni dell’ ira sembra arrivare l’ ora dei pontieri. L’ ex ministro Tiziano Treu, relatore al Senato del disegno di legge Fornero, è uno di questi: «Vedo in atto uno scontro che avrebbe bisogno di miglior causa. Continuare la guerra tra Confindustria e governo non serve. Ora in Parlamento si tratta di correggere i difetti più evidenti e di evitare che nel frattempo nel Pdl prevalgano i bellicosi». Treu non si fa illusioni sulle virtù taumaturgiche della riforma del lavoro («non dà fiato al motore»), spera solo che si faccia presto per poter passare al punto successivo dell’ agenda Paese: la crescita. Ma se gli industriali tengono il broncio i posti di lavoro chi li crea?
L’affondo di Emma(allieva bocconiana)e i dispiaceri del prof. Monti
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