Semplice: perché sono crollate le ispezioni dell’Inps nelle aziende. E anche in modo impressionante: erano più di 114 mila nel 2007, ora sono 21 mila l’anno. Così, tra l’altro, sul mercato prevalgono gli imprenditori disonesti.
Crollano le ispezioni nelle aziende. E scende il recupero di contributi. E’ questo da alcuni anni il trend di questa importante attività, che fa capo al ministero del Welfare e serve a verificare che nelle aziende sia tutto in regola, non ci siano lavoratori in nero e vengano effettuati i versamenti previdenziali e assicurativi. Un’attività fondamentale in un Paese come l’Italia dove l’economia sommersa raggiunge livelli da record europeo: secondo le ultime stime dell’Istat, il “nero” vale circa il 17 per cento del Pil e probabilmente, sotto i colpi della crisi, negli ultimi tempi è ancora aumentata.
Per rendersi conto di quanto l’attività ispettiva sia importante basta ricordare che nelle aziende controllate nel 2011 ben il 40 per cento dei lavoratori è risultato irregolare o del tutto in nero, e questo dato è sostanziale costante nel tempo. Di fronte a questo fenomeno il ministero che cosa ha fatto? Ha ridotto il numero delle ispezioni, che dalle 343 mila del 2007 sono crollate a 244 mila nel 2011, mentre le somme riscosse in seguito a questi accertamenti sono scese, nello stesso periodo, da 1,855 a 1,225 miliardi di euro. A dirlo è lo stesso ministero, che ogni anno pubblica un “Rapporto sull’attività di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale”.
Evidentemente, però, non sono in molti a leggere questi documenti, visto che finora nessuno aveva fatto rilevare che cosa stava accadendo. Se n’è accorto Ferruccio Pelos, ex sindacalista e dirigente di cooperative, attualmente consulente di economia aziendale, cooperativa e del Terzo settore, che sta scrivendo un saggio sul mercato del lavoro. Colpito da quanto ha scoperto, ha scritto una “lettera aperta” al ministro del Lavoro (pubblicata sul sito www.eguaglianzaeliberta.it) per chiedere come mai stia accadendo una cosa del genere.
Perché, chiede Pelos, questa riduzione dell’attività ispettiva? E come mai nei rapporti si dice che le somme riscosse sono circa il 20 per cento rispetto all’evasione accertata? E ancora: per quale motivo i rapporti parlano di “circa 2 milioni di aziende esistenti, censite presso gli istituti previdenziali”, mentre dai dati Istat (Archivio statistico delle imprese attive, anno 2010) risultano presenti in Italia 4.470.748 imprese?
“L’Espresso” ha girato queste domande al ministero. “Il numero di 2 milioni di aziende citate dal rapporto è evidentemente riferito a quelle con dipendenti. Resta fuori tutto il mondo degli autonomi, delle partite Iva e comunque degli imprenditori senza dipendenti e dei datori di lavoro non imprenditori”, dice Paolo Pennesi, direttore generale per le attività ispettive. “Per quanto riguarda la differenza tra accertato e riscosso, la domanda dovrebbe essere rivolta a Equitalia, che si occupa di gestire la fase dell’esecuzione. Ma bisogna considerare che molte volte, nonostante la correttezza degli accertamenti, non è possibile incassare effettivamente le somme accertate per le ragioni più diverse, che vanno dal fallimento dell’impresa al fatto che si tratta delle cosiddette “aziende fantasma”, gestite da cinesi o comunque da extracomunitari molto spesso irrintracciabili”. Non si capisce però perché i rapporti non parlino di questi controlli sulle micro-aziende, che comunque occupano quasi il 15 per cento della forza lavoro e dove è sicuramente più elevato il tasso di irregolarità. E stupisce che il ministero appaia passivo sulla performance di Equitalia, che riesce a riscuotere una percentuale così bassa dell’accertato.
Quanto all’Inps, dove il crollo delle ispezioni è stato particolarmente accentuato (dalle 114.360 del 2007 alle 21.201 del 2011, con importi recuperati scesi da 1,5 miliardi a 981 milioni), l’Istituto ammette che ci sono stati problemi in questa attività per le novità normative introdotte dal “Collegato lavoro” del 2010, per l’andata in pensione di circa 300 ispettori su 1.300 (che non sono stati rimpiazzati subito, ma solo l’anno scorso), per il blocco del turn-over e per le lungaggini del concorso nazionale. “Le nostre riscossioni totali sono comunque sempre aumentate”, fa sapere l’Istituto, “passando tra il 2007 e il 2011 da 2,7 a 8,6 miliardi”. Si tratta, ovviamente, di un dato sull’attività complessiva dell’Istituto, che va ben oltre le ispezioni.
Così, da un lato lo Stato non paga i suoi fornitori, come testimonia l’enorme mole di crediti vantati dalle imprese su cui non esiste nemmeno un dato certo (si oscilla da una settantina a oltre 100 miliardi). Dall’altro chiude un occhio sulle irregolarità e sui mancati versamenti, e anche quando accerta l’evasione riesce a recuperarne solo un quinto. Una “compensazione” perversa, che probabilmente avvantaggia le aziende meno in regola e meno efficienti.
Il ministro Elsa Fornero assicura che tutto ciò riguarda il passato. “Fin dall’inizio del mio incarico ho sempre richiamato l’attenzione sul fatto che anche in una fase di grave crisi come questa i controlli devono essere scrupolosi ed efficaci. L’approccio degli ispettori dev’essere di dialogo, ma comunque fermo nell’attuazione e nella verifica delle norme, specie quelle sulla sicurezza del lavoro, che sono anche nell’interesse delle imprese”.
Perche’ esplode il lavoro nero
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