• venerdì , 22 Novembre 2024

Serve una giornata di solidarieta’ per contrastare i “suicidi” economici

È meglio mettere da parte ogni considerazione di tipo politico-strumentale e darsi da fare.
Nei tempi dovuti la statistica ufficiale ci dirà qualcosa di molto preciso sulle caratteristiche e la frequenza dei suicidi che convenzionalmente chiamiamo «economici».
Ne sapremo più sugli scostamenti numerici complessivi rispetto agli scorsi anni, probabilmente avremo anche qualche elemento di conoscenza ulteriore sulla classificazione delle cause o, come recitano le tabelle dell’Istat, del «movente». Il guaio però è che un Paese emotivamente fragile, come appare il nostro in questo momento storico, ha bisogno di capire subito cosa sta succedendo, non può limitarsi a registrare passivamente le drammatiche notizie che un giorno arrivano da Romano di Lombardia e l’altro invece da Pozzuoli e da Enna. Una comunità per essere viva ha bisogno di sentirsi protagonista del suo destino.
Un lettore nei giorni scorsi mi ha chiesto su twitter a bruciapelo se il susseguirsi dei suicidi sia da attribuire alle scelte operate in questi mesi dal governo presieduto da Mario Monti. Ho faticato a dare una risposta secca perché in generale non credo che tra le decisioni prese (a monte) da qualsiasi esecutivo e i comportamenti sociali (a valle) si possa individuare una sorta di automatismo. I tempi di maturazione di una discontinuità sociale sono decisamente più lunghi di quelli della permanenza a Palazzo Chigi di un esecutivo e sicuramente non sono legati all’adozione di uno o più provvedimenti legislativi, i cui effetti spesso sono differiti negli anni. Se si pensa, ad esempio, alla pur incisiva riforma previdenziale predisposta dal ministro Elsa Fornero occorre ricordare che i tempi di attuazione saranno diluiti e che ancora oggi, quando registriamo con dolore la frequenza dei suicidi, la quota di pensioni che viene erogata con il vecchio sistema retributivo si aggira sul 90%. Ciò non toglie che si possano stabilire facili correlazioni tra le policy di austerità adottate dai tecnici e le morti volontarie ed era scontato che qualche forza politica, momentaneamente all’opposizione dopo essere stata per un lungo ciclo al potere, fosse attratta ancora una volta dalla propaganda e finisse per ritrarre il presidente del consiglio pro tempore quasi come un vampiro. Ma è solo politica low cost, non lascia tracce durature.
Se vogliamo, invece, davvero rispondere alla domanda di solidarietà e di aiuto che sta dietro il dramma degli imprenditori suicidi è meglio mettere da parte ogni considerazione di tipo politico-strumentale e darsi da fare. La deriva psicologica che sta investendo la parte più debole dei ceti produttivi, dei pensionati e dei disoccupati necessita, qui e subito, di un’azione di contrasto. Senza dividersi tra filo e anti Monti. Non possiamo baloccarci con le analisi o aspettare che i numeri o le nuove tecniche di fact checking (controllo sui fatti e i dati) diano ragione all’una o all’altra fazione. Bisogna mandare agli uomini soli e dimenticati un messaggio di speranza. «Ce la puoi fare e noi siamo qui per aiutarti».
Rinunciamo pure, come ho già scritto, ad uno o due dei nostri tanti convegni autoreferenziali e dedichiamo lo stesso tempo all’ascolto della società fragile. Non sarebbe una cattiva idea che ciò avvenisse persino nella forma di una giornata nazionale di mobilitazione e solidarietà che schierasse nei luoghi del disagio le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese, il volontariato e il mondo del non profit, la cooperazione, gli psicologi, la Chiesa. Qua e là nei territori iniziative di questo tipo si sono già tenute o sono in preparazione e la sera di venerdì 11 ne è prevista una a Modena. L’importante è che anche queste assemblee non si trasformino in tournée oratorie di sindaci, assessori, segretari di qualcosa, esperti improvvisati, tutti pronti a sfoggiare una dotta citazione di Emile Durkheim. Evitiamo che discettare di morti volontarie diventi una nuova specializzazione della convegnistica. Piuttosto facciamo parlare chi finora è restato zitto, diamo il microfono agli invisibili. Per troppo tempo abbiamo confuso la coesione sociale con il tavolo della concertazione e poi abbiamo scoperto che non erano la stessa cosa.

Fonte: Corriere della Sera del 6 maggio 2012

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