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Le promozioni burocratiche e le imprese ministeriali

Il problema a cui tutte le organizzazioni, in primis le imprese, devono far fronte è il calo di motivazione dei propri dipendenti. Potrà sembrare singolare che, in un momento storico in cui il lavoro si presenta come una risorsa scarsa, chi fortunatamente ce l’ha debba trovare un surplus di stimoli per sentirsene appagato e usufruirne al meglio.
Ma tant’è. La ricerca australiana ce lo conferma e ci dice anche una cosa in più: pensare di fabbricare/comprare la motivazione a suon di promozioni (più o meno corrispondenti ad effettivi avanzamenti) è illusorio. Dura poco. E’ sulla natura burocratica delle organizzazioni medesime, infatti, che ci si dovrebbe interrogare.
Sulla loro perversa capacità di produrre riti, procedure, nuovi livelli gerarchici, inerzie. Una promozione inserita in questo contesto vale poco perché significa aggiungere una stazione di fermata in più a un treno che già non riesce a viaggiare alla velocità necessaria.
Chi usufruisce dell’avanzamento di carriera lì per lì si sente soddisfatto, magari organizza la tradizionale bicchierata con i colleghi e porta a cena fuori la moglie, basta poco però per accorgersi che in gli è stato venduto qualcosa che vale molto meno del previsto. Una cosa è essere promossi da aziende snelle e focalizzate, altro da organismi burocratici che distribuiscono stellette come forma di acquisizione del consenso.
Nel gergo aziendale le imprese che agiscono così le si etichetta come “ministeriali” perché in qualche modo copiano metodi tipici delle amministrazione statali più lente. Se oltre a lavorare sul proprio modus operandi le aziende volessero davvero trar profitto dall’indagine australiana potrebbero anche ragionare su altre forme di scambio.
Lo schema può essere quello del welfare aziendale che viene adottato da un numero sempre maggiore di aziende con ottimi risultati. Specie quando accanto a forme risarcitorie (le spese mediche specialistiche o un paniere di prodotti a prezzi calmierati) evolve verso moduli che si prendono cura dei figli dei dipendenti. A questo punto l’impresa si presenta al suo impiegato come una comunità che sa guardare lungo, sa individuare i veri problemi. E un siffatto datore di lavoro merita rispetto e non solo.

Fonte: Corriere della Sera del 17 luglio 2012

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