Le piazze piene di Vicenza e Treviso dei giorni scorsi sono il segno inequivocabile che sta prendendo corpo un’Opa di Beppe Grillo sul mondo dei Piccoli. I primissimi segnali di uno sganciamento degli artigiani dal Pdl e di un’attenzione verso il Movimento 5 Stelle risalgono a una ricerca sugli orientamenti politici e valoriali del ceto medio produttivo realizzata nel novembre 2011 da Roberto Weber e commissionatagli dal responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. Da allora il feeling tra il mondo dei piccoli produttori e Grillo è stato una sorta di fiume carsico e il movimento non si è dato particolarmente da fare per aggiornare la propria piattaforma programmatica.
Tuttavia il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, al momento di formare la giunta comunale pensò bene di affidare l’assessorato alle Attività Produttive a Cristiano Casa, presidente di CentopercentoPmi, una piccola organizzazione di rappresentanza degli artigiani. Ora però in prossimità dell’apertura delle urne siamo davanti a un’accelerazione e non a caso per parlare con gli artigiani in un albergo del Trevigiano si è scomodato sabato scorso persino Gianroberto Casaleggio, che in fondo è un piccolo imprenditore. Grillo da solo evidentemente non se l’è sentita e ha voluto che ci fosse vicino a sé qualcuno del mestiere.
Come che sia, sta accadendo che una parte del consenso forza-leghista dei Piccoli si va dirigendo verso il Movimento 5 Stelle, che in questo momento sembra il contenitore più credibile per ospitare transitoriamente l’individualismo anti-statalista e un po’ anarchico del popolo del Nord Est. Forse più di un vero feeling politico-culturale possiamo parlare di una continuità antropologica tra il celodurismo leghista e il Vaffa del comico genovese. Secondo un sondaggio effettuato dalla Confartigianato di Treviso tra i piccoli imprenditori locali Grillo vale il 22,5% e la coalizione di centrodestra 38%. Per capire la vastità dello smottamento occorre ricordare che solo qualche anno fa tra gli artigiani il forza-leghismo portava a casa l’80% dei consensi. C’è un mondo nordestino, quindi, che è particolarmente veloce nel captare i mutamenti e assecondarli, è stato così nel contrastato passaggio di consegne tra Giancarlo Galan (Pdl) e Luca Zaia (Lega Nord) e appare con gli stessi termini oggi che Beppe Grillo riempie le piazze venete. Guai però a catalogare il tutto sotto il segno di un trasformismo localistico e trattarlo con la puzza sotto il naso. Dietro gli spostamenti elettorali c’è un mondo che si sente schiacciato verso il basso, che avversa la Ue e la globalizzazione, si fida solo del suo commercialista e combina lo «stress da competizione» con un perdurante senso di inadeguatezza personale. A determinare o meno il successo di Grillo poco importa che i candidati del movimento siano relativamente in sintonia con i Piccoli, le loro parole d’ordine testimoniano di una cultura minimalista, alternativa per definizione ed ecologista, che si ibrida con il mondo dei Piccoli solo quando professa le virtù di un localismo a kilometro zero. Non certo quando celebra le virtù della decrescita o si oppone agli inceneritori. Una dimostrazione se vogliamo viene da Parma (anche se il contesto sociale è molto differente da Treviso) dove l’elettorato borghese di centrodestra aveva scelto alle Comunali del 2012 Pizzarotti e oggi assiste sbigottito alle sue piroette da dilettante allo sbaraglio.
Se poi vogliamo c’è da sottolineare un altro paradosso in questa storia. Il Pd capisce (via Weber) prima degli altri cosa sta succedendo nel mondo artigiano ma non riesce a giovarsene quasi per nulla. Il forza-leghismo cede nei suoi legami popolari e un centrosinistra che fosse veramente laburista dovrebbe approfittarne a piene mani. E invece no. Scegliendo l’abbinamento con Nichi Vendola e Susanna Camusso il laburismo alla Fassina scinde il lavoro dall’impresa e questo segnale basta all’ex-elettorato del centrodestra per decidere di schivare il Pd e rivolgersi a Grillo. La retorica del «bene comune» non abita qui e tantomeno suscita emozione l’idea di rilanciare l’Iri così in voga tra gli intellettuali vicini a Pierluigi Bersani. Non siamo più al tempo (2008) in cui il giornalista Marco Alfieri, con il suo libro, ammoniva i dirigenti del Pd che «il Nord era terra ostile» ma ancora in questa campagna elettorale si vede a occhio nudo che al partito-lepre mancano i Chiamparino e i Cacciari, personaggi capaci di interpretare la questione settentrionale di prima mano e non per sentito dire. Certo, nel camper ci sarebbe Matteo Renzi ma, se continua a parlare sempre di Firenze e delle sue magnifiche tradizioni, sopra il Po finirà per non servir a niente anche lui.
le ansie dei piccoli imprenditori in quelle piazze piene di rabbia
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