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Le partite Iva al governo:non giocate contro di noi

Con un documento messo in rete lunedì mattina le partite Iva bocciano senza mezzi termini l’esecutivo delle larghe intese che le ha completamente ignorate sia nel «decreto del fare» sia nel «pacchetto lavoro».
Secondo Acta, l’associazione del terziario avanzato che ha elaborato la piattaforma, il governo Letta sta perpetuando «politiche vessatorie» nei confronti del lavoro autonomo perché non opera scelte a favore degli investimenti sul capitale umano e non interviene sulle iniquità fiscali/contributive che attanagliano le partite Iva e le micro-imprese.
Così «molti professionisti stanno abbandonando questa forma di esercizio del lavoro autonomo, tanti hanno già cambiato mestiere e aumentano coloro che stanno progettando di andare all’estero».
Dopo qualche timido tentativo di dialogo con il governo Monti e il ministro Elsa Fornero che era sfociato anche in un’audizione parlamentare, Acta «torna all’opposizione» sostenendo che i problemi delle partite Iva sono rimasti fuori dall’ agenda politica. «La nostra classe dirigente non è stata in grado di uscire da una visione del lavoro che non sia quello dipendente e non riesce nemmeno ad immaginare un welfare adatto alla condizione del lavoro professionale o precario».
Siamo lavoratori indipendenti come professionisti iscritti agli Ordini, artigiani e commercianti – dice il documento – ma il nostro prelievo contributivo è del 27% mentre il loro è rispettivamente del 14 e del 21%. Dove sta l’equità? Dove stanno le regole di mercato?
«In dieci anni la nostra contribuzione Inps è passata dal 10 al 27% – sostiene la presidente di Acta, Anna Soru – e se non sarà cambiata la legge approvata ricomincerà a crescere già dal 2014 per arrivare al 33%. Questo comporterà la morte delle nostre attività in un momento in cui tutti stiamo lottando per la sopravvivenza economica».
Da qui la richiesta, inviata al premier Enrico Letta e ai ministri competenti, di immediato blocco con procedura d’urgenza dell’aumento al 33% della contribuzione Inps e più in generale di rivedere le norme in materia contributiva. «I pagamenti devono corrispondere alle prestazioni, non è possibile che si paghi tanto per avere poco».
La proposta messa a punto da Acta è estremamente dettagliata e suddivide i professionisti a partita Iva in tre fasce («fragili», «forti» e «solidi») e per ciascuna di esse individua la soluzione più equa. Le iniquità contributive ovviamente si rifletteranno sulle pensioni. «Per primi sperimenteremo gli effetti del sistema contributivo senza che siano stati previsti interventi di transizione» dice il documento.
E del resto tutte le proiezioni mettono in evidenza che i futuri pensionati ex partita Iva si troveranno in condizioni economiche molto peggiori delle attuali «a causa di meccanismi di rivalutazione inadeguati e coefficienti di conversione penalizzanti». Che fare, dunque? Soru propone misure transitorie per chi si ritira nei prossimi 10-15 anni, l’istituzione di una pensione di base e contributi figurativi a copertura degli impegni di cura dei figli.
Dalla previdenza al fisco. Acta ha scritto a Letta chiedendo l’istituzione di un regime fiscale agevolato sul modello esistente nel Regno Unito e che interessi i lavoratori con ricavi sotto i 70 mila euro. «I nostri servizi sono totalmente fatturati e trasparenti – dice Soru – ma siamo penalizzati da una tassazione pensata per il lavoro dipendente o l’imprenditore, mai per un professionista che si assume il rischio della propria attività».
Da qui la richiesta di rivedere il sistema delle spese deducibili, l’applicazione di aliquote e anticipi definiti sulla media di tre anni di reddito e un nuovo rapporto, non più asimmetrico, con l’Agenzia delle Entrate. Il contenzioso delle partite Iva con il governo non si ferma ai temi più strettamente «sindacali», Acta accusa Letta di trascurare gli investimenti sul capitale umano e l’economia della conoscenza.
«Per lo sviluppo il governo pensa all’immobiliare, le grandi opere e qualche segmento del made in Italy non ancora delocalizzato» ma il nostro Paese, per non seguire il modello che ha portato alla rovina la Spagna, «ha bisogno di fosforo» più che di mattoni.

Fonte: Corriere della Sera del 3 luglio 2013

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